Economia

L'intervista. Daveri: «È stato il calo dell’export verso il resto dell’Ue a convincere i tedeschi»

Pietro Saccò sabato 5 aprile 2014
Alla fine i tedeschi hanno ceduto, o almeno si sono ammorbiditi abbastanza da considerare accetta­bile che la Banca centrale europea possa aumen­tare la quantità di denaro nel sistema comprando sul mer­cato debiti privati. Francesco Daveri, che insegna econo­mia all’Università di Parma e alla Bocconi ed è anche ri­cercatore per il Cesifo, cioè il più autorevole centro di ri­cerca economica tedesco, una sua spiegazione per questo cambio di atteggiamento ce l’ha. Immagino che non sia un improvviso attacco di altrui­smo ad avere addolcito i vecchi 'falchi' della Bunde­sbank... La Germania vede che la situazione è peggiorata anche per lei. Se cinque o sei anni fa Berlino aveva una bilancia com­merciale in attivo per una cifra pari al 5% del Pil ora, anche a causa di un aumento delle importazioni, il suo disavan­zo è sceso al 2%. E da qualche mese le esportazioni tede­sche in Europa stanno scen­dendo. Così i tedeschi vedono che sarebbe bene trovare un modo di fare crescere anche gli Stati europei più in difficoltà. Quanto il «quantitative ea­sing » può aiutare l’Europa a ritrovare una ripresa vera? I problemi di crescita dell’Eu­ropa sono troppo ampi e com­plessi per essere risolti solo per via monetaria. Certamente a­vere una Banca centrale in gra­do di acquistare i titoli del de­bito pubblico o del settore pri­vato, come hanno fatto la Fe­deral Reserve americana e al­tre banche centrali, sarebbe u­na cosa auspicabile. Sarebbe un ulteriore passo in avanti do­po  l’accordo sull’Unione bancaria, che è fondamentale per  riattivare il flusso di credito verso le imprese. Intanto è bastato il solo annuncio di Draghi per fare crol­lare ancora i tassi dei Btp. C’è il rischio che senza la pau­ra degli 'spread' si allenti la spinta politica per fare le riforme? Mi pare che la spinta, in questo momento, sia lo stesso Renzi. Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia im­parato la lezione di Monti, e non vuole fare la sua fine. Per questo preme: o si fa in questo modo o lui se ne va. Così mette lo Stato – e in qualche modo anche gli elettori – da­vanti alle sue responsabilità. Non possiamo rinviare le scel­te all’infinito, non possiamo continuare a fare salire il de­bito e gonfiare la spesa. Grecia, Portogallo, Croazia, aumentano gli Stati dell’eu­ro finiti in deflazione. Rischiamo anche noi? Io starei a quello che dice Draghi: uno scenario di bassa in­flazione per l’area euro. È un combinato di prezzi in rialzo moderato in alcuni paesi, in debolissimo rialzo in altri, in calo in altri ancora. Questa dinamica agevola il necessario aggiustamento di competitività tra le economie che van­no forte e quelle che sono più lente. Dietro la dinamica dei prezzi ci sono dinamiche temporanee dei costi di cibo ed energia, ma anche l’inflazione 'core', che esclude quegli elementi, è in calo. La cosa migliore sarebbe un po’ più di inflazione in Germania e nelle altre economie forti, così che in quelle più deboli si riesca a tenere un tasso supe­riore allo zero. L’allentamento quantitativo ipotizzato dal­la Bce può aiutare a raggiungere questa situazione.