Economia

COPENAGHEN. Fondo salva-Stati: sì al rafforzamento

venerdì 30 marzo 2012
L'Eurogruppo riunito a Copenaghen ha dato il via libera al rafforzamento dei fondi salva-Stati dell'eurozona, il cui volume complessivo sarà ora pari a 800 miliardi di euro, inclusi i finanziamenti già mobilitati per i Paesi sotto programma. La capacità di prestito combinata tra Esm, che entrerà in vigore a luglio, ed Efsf, già attivo, avrà però un tetto fissato a 700 miliardi di euro. È quanto si legge in una nota dei 17 Paesi dell'eurozona ridiffusa a Bruxelles.LE PREOCCUPAZIONI PER LA SPAGNA"Per la Spagna la situazione è difficile": così il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker ribadisce la preoccupazione dei ministri dell'Eurozona per la situazione di Madrid, che oggi annuncerà a Copenaghen il piano di tagli per rientrare dal deficit. Lo ha detto anche il commissario agli affari economici Olli Rehn entrando alla riunione dell'Eurogruppo. "Sono convinto che la nostra proposta sul bilancio convincerà i mercati": lo afferma il ministro delle Finanze spagnolo, Luis De Guindos, entrando all'incontro informale dell'Ecofin a Copenhagen. "Siamo sulla strada giusta per cercare la ripresa e lasciarci alle spalle i problemi degli ultimi anni", ha aggiunto. UNA GIORNATA DI PAURAChi investe in Europa e vuole capire se davvero la crisi del debito è vicina alla fine guarda la Spagna: aspetta di sapere come il governo di Mariano Rajoy intende mettere a posto i conti pubblici e vuole soprattutto vedere se ci riuscirà. Il piano di Madrid sarà presentato oggi, ma le massicce proteste di ieri fanno temere che Rajoy faticherà a farlo passare. Chi investe in Italia ieri guardava soprattutto Siena. Il Monte dei Paschi, la terza maggiore banca italiana, faceva vedere i suoi conti; si sapeva che non erano buoni ma si voleva capire quanto fossero cattivi. Che guardassero Siena o Madrid, ieri gli investitori hanno visto comunque nuovi rischi, e quindi hanno venduto, sia le azioni che i titoli di Stato delle nazioni europee "periferiche". Il risultato è che, nonostante la positiva asta dei Btp a 5 anni, i Btp italiani a 10 anni quotati sui mercati secondari sono risaliti di 10 punti base, al 5,21%, e quelli spagnoli di 13, al 5,46%. I Bund tedeschi sono invece scesi di 2 punti base, all’1,80%. Il riavvicinamento della coppia Roma-Madrid a Berlino si è fermato a metà marzo e ora la distanza torna ad allargarsi anche rapidamente: il nostro spread è di 341 punti, quello spagnolo di 366. Siamo ai massimi dall’inizio del mese, segno che gli investitori – turbati anche da una Standard & Poor’s che teme la necessità urgente di un nuovo salvataggio della Grecia – sono meno ottimisti sull’uscita dalla crisi europea. E qualcuno sottolineava anche che nelle parole con cui Federico Ghizzoni ha presentato i conti, martedì, c’era un mezzo campanello d’allarme: con i soldi della Bce UniCredit intende fare «del buon credito» e «non acquistare titoli di Stato in modo massiccio» ha spiegato il manager. Come dire: il tempo degli acquisti "pesanti" di titoli di Stato sostenuti dai 1.000 miliardi prestati da Francoforte alle banche europee potrebbe essere già finito.E così le banche, soprattutto quelle che hanno comprato molti titoli di Stato, restano comunque il centro della questione. Gli istituti italiani, uno dopo l’altro, hanno presentato bilanci ricchi di svalutazioni dei titoli contenuti nei loro portafogli. In Borsa i loro numeri hanno spinto le vendite, che sono in realtà iniziate già a metà marzo. Ieri i dati particolarmente deludenti di Mps hanno fatto partire una sorta di "panic selling", una vendita generalizzata dei titoli delle banche che ha mandato Piazza Affari in rosso del 3,3% (è stata la peggiore in Europa, Francoforte ha perso l’1,8%, Parigi l’1,4%. Londra l’1,5%, Madrid lo 0,9%). Diversi titoli sono stati sospesi per eccesso di ribasso. Mps ha perso l’11%, la Banca Popolare di Milano il 10%, perdite comprese tra il 5 e il 7% anche per Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi e Banco Popolare. Ma anche i titoli industriali hanno sofferto. Perché, oltre ai timori sulle banche nostrane e sulla tenuta dell’Unione monetaria europea, le Borse pagano anche i continui segnali di rallentamento della già debole ripresa globale. L’ultimo è arrivato ieri: i sussidi di disoccupazione chiesti negli Stati Uniti la settimana scorsa sono stati 359 mila. È il minimo da aprile 2008, solo che gli investitori si aspettavano un miglioramento di gran lunga maggiore. Pietro Saccò