Economia

L'iniziativa. Una scuola per chi dovrà rilanciare le aree interne

Paolo M. Alfieri giovedì 15 giugno 2023

Il borgo abruzzese di Montenerodomo

«Quello della gestione e dello sviluppo delle aree interne e dei loro borghi è una grande questione aperta per l’Italia: sono zone che soffrono per lo spopolamento, per la mancanza di servizi e di mezzi di comunicazione adeguati, di problemi di relazione e di socialità con il resto del territorio. Senza dimenticare il grande tema della partecipazione democratica e culturale».

Flavio Felice, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise e visiting professor presso la Pontificia Università Gregoriana e la Pontificia Università Antonianum, riassume così la questione che riguarda ampie porzioni di un’Italia che, tradizionalmente, «è storicamente cresciuta con le aree interne proprio perché queste aree, rispetto a quelle costiere, erano luoghi più vivibili rispetto alla costa». Oggi, sempre più isolate e spopolate, queste terre rischiano però l’abbandono.

«I problemi principali credo siano da un lato la possibilità, per chi vi abita, di poter essere in contatto con tutte le opportunità che una società di tipo avanzata come la nostra può offrire – osserva Felice –. Conosciamo anche solo la difficoltà dei ragazzi di frequentare una scuola o, per gli adulti, di svolgere una vita familiare decente, con mezzi di comunicazione ridotti, aspetti che hanno un forte impatto sula vita delle persone. Poi c’è naturalmente l’aspetto del rapporto con la vita pubblica, con la democrazia e un altro problema di natura ambientale: chi si prende cura di un territorio abbandonato?».

Felice, che è tra gli organizzatori di una scuola estiva che si terrà in Abruzzo dal 17 al 23 luglio proprio dedicata allo sviluppo delle aree interne, evidenzia l’esempio di quanto accaduto di recente in Emilia Romagna e nelle Marche: «Chi cura oggi i fiumi, i sentieri, i boschi, le vie di comunicazione che rendevano le aree interne vivibili? Il danno di quell’abbandono, a cascata, lo viviamo poi anche noi nelle nostre città, perché fiumi non curati si traducono in detriti e fango in caso di maltempo. Ci sono poi zone, soprattutto nel Mezzogiorno, che hanno un maggior grado di problematicità, considerata la già minore presenza di servizi».

Sono i giovani, secondo Felice, a soffrire in particolare «problemi di relazione dovuti all’isolamento, sono quei giovani che a 19 anni decideranno di partire dalle aree interne e non farvi più ritorno per lavorare. Questo porta anche a una mancanza di sviluppo, non solo economico ma anche politico del nostro Paese. Proprio la politica dovrebbe porre maggior attenzione alla vivibilità delle aree interne ». Felice osserva che, se per un paio di stagioni con la pandemia le aree interne hanno giovato di un rinnovato interesse da parte di chi ha preferito spostarsi in questi luoghi rispetto alla città, magari approfittando dello smart working, «quel momento sembra essere già passato, il ripopolamento è stato effimero e queste realtà sono tornate ad essere ciò che erano prima. Le aree interne devono essere considerate luoghi di vita, ma il loro futuro non può poggiare solo sulla logica del buen retiro».

Tutti questi temi saranno al centro della settimana di corsi della scuola estiva a Montenerodomo, ai piedi della Maiella, in Abruzzo, che verrà frequentata gratuitamente da 20 giovani universitari. Si inizierà con un incontro dedicato alla visione che la cultura politica italiana ha espresso del Mezzogiorno, a partire da Benedetto Croce, per parlare poi di questioni quali gli usi civici, i beni comuni, la deglobalizzazione, le politiche locali e lo sviluppo economico, «tenendo sempre come riferimento una cifra identitaria in senso culturale – fa notare Felice –, quella della Brigata Maiella e della lotta verso l’oppressione».