Economia

TASSE E FAMIGLIE. Rifiuti, la contesa dell’Iva

Eugenio Fatigante domenica 23 agosto 2009
C’è una mina vagante per i conti di molti Comuni i­taliani (1.193 in tutto). Ma è anche una buona notizia (parzia­le, poi diremo perché) per circa 6-7 milioni di famiglie italiane, se non di più. Sono le conseguenze di uno sto­rico pronunciamento della Corte Costituzionale (passato un po’ in sor­dina) che, con una sentenza – la nu­mero 238 – depositata il 24 luglio scorso, ha sancito che la tariffa d’i- giene ambientale ( Tia) applicata in molte parti d’Italia per la raccolta dei rifiuti urbani mantiene la natura pubblicistica della vecchia Tarsu. In altre parole: malgrado la trasfor­mazione, resta una tassa e non è u­na tariffa. Quella che sembra una ste­rile disputa giuridica ha però un ef­fetto potenzialmente dirompente: in quanto tassa, su di essa non si può far pagare un’altra tassa come l’Iva, che invece viene chiesta ai cittadini. I quali, a questo punto, hanno dirit­to alla restituzione dell’Iva al 10% che hanno versato in più fino a ora. È difficile fare conteggi precisi, per­ché la tassa-tariffa varia da posto a posto. Per dare un’idea, comunque, una famiglia di 4 persone che abita a Roma una casa di 80 metri quadri paga sui 300 euro annui, di cui circa 28 di Iva che, di fatto, sono stati sottratti illegal­mente a questo nu­cleo- tipo. Il problema non si pone per il futuro, in quanto gli operatori che riscuotono la Tia si stanno già attrezzando per far rientrare nel co­sto globale chiesto al contribuente quel 10% d’Iva che non potranno più esigere in bolletta, come voce speci­fica. Per il passato, viceversa, la partita è aperta. Per evitarla servirebbe un provvedimento legislativo che san­cisse un aumento retroattivo della Tia, ma è difficile che il governo se­gua questa via. Bisogna tuttavia fare attenzione a un paio di fattori. In pri­mo luogo, il diritto al rimborso vale solo per gli anni successivi alla tra­sformazione (non legale appunto, secondo la Consulta) in tariffa, in quanto è da allora che si fa pagare l’Iva. Nella Capitale, a esempio, la ta­riffa debuttò nel 2003, per cui è solo per gli ultimi 7 anni (2009 incluso) che si può chiedere questo arretra­to. Soltanto per circa mezzo milione d’italiani la richiesta può andare an­cora più indietro, fino al 1999. Inol­tre va da sé che per tentare questa strada è necessaria la prova del pa­gamento della Tia su cui è stata cal­colata la voce Iva. Bisogna quindi a­ver conservato la ricevuta delle bol­lette pagate. Solo se sono state mes­se da parte, si può pensare di avvia­re la pratica per riavere il maltolto, presentando all’azienda comunale una richiesta scritta di rimborso del­l’Iva versata o rivolgendosi diretta­mente alla Commissione tributaria provinciale. Una via per ora un po’ farraginosa per il semplice cittadi­no, che altrimenti può rivolgersi a u­na associazione dei consumatori. La più attiva finora in questo campo è il Codacons, che cura l’intera prati­ca se però ci si iscrive per due anni (un’iscrizione che costa 100 euro, quindi conviene valutare prima il rimborso cui si ha diritto). Altri con­sigliano invece gli utenti di mettere in mora il Comune (inviando una raccomandata A/R in cui si cita la sentenza), in attesa degli eventi. Bisogna infatti tenere presente che l’iter potrebbe durare qualche anno, a meno che la politica non decida di venire incontro al cittadino. Prima di Ferragosto, a esempio, a Latina, città del Lazio, il locale assessore al Bilancio, Marco Gatto, è stato netto al riguardo: «Che la popolazione debba ottenere il rimborso del 10% è sicuro». Gatto ha però aggiunto che per questo si attende una circolare del ministero dell’Economia, dato che dovrebbe essere l’Agenzia delle Entrate, in prima battuta, a rimbor­sare quella quota di Iva alle società che gestiscono i servizi di raccolta e smaltimento rifiuti. La vicenda è an­cora agli inizi. E i cittadini devono armarsi di pazienza.