Economia

L'intervista. Quei 120mila "Expat" italiani bloccati dal virus

Giancarlo Salemi giovedì 26 marzo 2020

Andrea Benigni, amministratore delegato di Eca Italia

Prima della catastrofe del coronavirus ogni anno più di 120mila italiani viaggiavano per lavoro all’estero, una "rete di talenti" e professionisti nel mondo, in grado di contribuire alla promozione del sistema produttivo del nostro Paese. «Dove internazionalizzazione del business significa investimenti diretti esteri», spiega Andrea Benigni, Ad di Eca Italia, società leader nella gestione dei lavoratori all’estero che dal 1994 ha assistito almeno 50mila tra top manager e tecnici, i cosiddetti "Expat".

Adesso è tutto fermo?
Dopo un primo bimestre normale, direi positivo, ora è tutto paralizzato, nessuno pensava all’evoluzione che stiamo vivendo in questi giorni. Un problema per manager e tecnici che operano all’estero e per le imprese che hanno bisogno di questi profili.

I manager che operano oltreconfine sono rientrati in Italia?
Chi ha un ruolo all’estero lo ha mantenuto con tutte le difficoltà che esso comporta, ma si è completamente bloccata la catena di assegnazioni delle commesse sia nel breve che nel lungo periodo. È impossibile muoversi proprio a causa del virus e delle conseguenti restrizioni e misure adottate dalla totalità dei Paesi. Adesso stiamo lavorando con le aziende che hanno già personale assegnato all’estero o stranieri già presenti in Italia ed in alcuni casi con aziende che stanno pianificando il medio termine: si ipotizzano assegnazioni internazionali auspicando che la crisi venga superata.

Non pensa che, terminata l’emergenza, anche la mobilità andrà ripensata?
Ci sarà certamente un periodo intermedio, dove bisognerà fare i conti anche le componenti psicologiche di quello che stiamo affrontando. Però non possiamo pensare di vivere in una situazione autoctona e chiusa. Spero anche che questo momento possa aprire nuove chiavi di lettura rispetto al valore generato dalla mobilità e dall’incontro di culture diverse. Qui è in gioco il modello imprenditoriale dei prossimi anni.

Cosa vuol dire?
Parliamoci chiaro: senza l’internazionalizzazione le aziende non hanno possibilità di sopravvivenza e gli espatriati sono un fattore positivo di questo successo. Credo che sicuramente ci sono delle linee di indirizzo che proseguiranno come lo smart working o l’esperienza del virtual assignment.

Ma se tutto diventa virtuale a cosa serve la mobilità?
Lo smart working sta dando una mano indispensabile per quelle attività non strettamente manifatturiere o industriali ma pensare di gestire un’azienda così al 100% è impossibile. L’attività manifatturiera e industriale continua ad essere per le aziende italiane l’area dove oltre il 40% degli italiani espatriati viene impegnato. Parliamo di cantieri, lavori ingegneristici: il ruolo dei manager all’estero resta fondamentale.