Economia

Shanghai. È panico sui mercati in Cina

giovedì 9 luglio 2015
La bolla cinese è scoppiata. Shanghai e Shenzhen hanno bruciato oltre 3.200 miliardi di dollari in tre settimane e non si arrestano nella loro discesa, che ha superato il 32%. Hong Kong ha perso ieri il 5,84% per la corsa alla vendita degli investitori di titoli cinesi definita dal quotidiano South China Morning Post «un massacro». Shanghai ha recuperato parzialmente il crollo dell’8,2% con cui aveva aperto la fermandosi, per così dire, a un drammatico -5,9%. Secondo i dati di Bloomberg, almeno 650 delle aziende quotate, il 51%, si sono auto-sospese dalle quotazioni. Anche lo yuan ha ceduto, scendendo al livello più basso da quattro mesi, mentre lo yen giapponese sta subentrando come valuta-rifugio. Una crescita del 150% di Shanghai nei 12 mesi fino al picco del 12 giugno era oltre le logiche – per quanto bizzarre e in molti casi arbitrarie – dell’economia cinese. La 'finanza di consumo' – con decine di milioni di piccoli investitori, inclusi casalinghe, studenti, tassisti, negozianti e pensionati – è un fenomeno possibile a questi livello solo in Cina, e sono proprio i pesci piccoli a pagare un prezzo elevato e a far mancare la fiducia per rallentare la crisi. L’urgenza delle iniziative di contenimento ufficiali ha per altro aggravato la percezione della crisi. Tra queste, la cui la possibilità per le assicurazioni di investire fino al 10% dei loro capitali sul mercato azionario, soprattutto in piccole e medie imprese, l’impegno della Bank of China a sostenere uno «sviluppo stabile» del mercato borsistico e a fornire fondi all’azienda assicurativa di stato, il blocco delle offerte iniziali pubbliche (Ipo) per rallentare il drenaggio di fondi dal mercato. La situazione rende più evidenti problematiche già presenti. Troppe risorse sono da tempo tolte alle necessità essenziali del terzo dei cinesi che vive in stato di povertà. L’edilizia conta molti milioni di abitazioni vuote, intere città-satellite senza abitanti con il rischio più volte annunciato di una incontenibile contrazione della bolla speculativa. Su un piano diverso, il crollo ha evidenziato la mancanza quasi assoluta di liquidità nelle imprese di riferimento. Inoltre, solo a fino giugno, analisti della Bnp Paribas avevano indicato nel 15% la probabilità di una crisi del debito cinese. Cresce anche il rischio di contagio, in un contesto in cui diverse economie asiatiche, hanno puntato sulla Repubblica popolare cinese per compensare il calo dell’export verso mercati tradizionali e, in alcuni casi, per sostenere le proprie economie con l’appoggio di un partner poco interessato a legare investimenti e business a rispetto di diritti umani e democrazia. Si registrano ovunque massicce vendite di azioni cinesi e diversi quotidiani asiatici parlano di 'rotta' della finanza cinese. Ultimo, il rischio di destabilizzazione. Una pesante caduta degli investimenti, in particolare degli investitori 'fai da te', potrebbe avviare quella rivolta contro il sistema che è l’incubo della dirigenza comunista e al cui allontanamento sono state votate la maggior parte delle iniziative del potere. Incluse quelle che hanno avviato un corsa senza precedenti versi i vertici dell’economia mondiale, con troppi limiti e contraddizioni per essere ignorati.