Economia

L'INTERVISTA. Pagani: «La sfida? Attrarre capitali ma senza svendere»

Vincenzo R. Spagnolo mercoledì 25 settembre 2013
«La vicenda Telecom è solo la concretizzazione delle norme europee sul mercato delle telecomunicazioni e sulla libera circolazione dei capitali...». Il consigliere per gli affari economici e internazionali della presidenza del Consiglio, Fabrizio Pagani, parla al telefono da New York: classe 1967, alto funzionario dell’Ocse a Parigi, ha accompagnato il premier Enrico Letta nella missione nordamericana e oggi sarà a Wall Street accanto a lui, nell’incontro con gli operatori economici. È fra gli ispiratori del pacchetto di interventi «Destinazione Italia», per facilitare gli investimenti esteri: «La sfida è quella di attrarne di più, rendendo l’Italia "accogliente" sotto molti profili, ma senza pregiudicare asset vitali per il nostro Paese».Le telecomunicazioni lo sono?Lo sono. Ma per Telecom bisogna prendere atto del fatto che ormai si tratta di un’impresa privata soggetta a norme europee. Certo, non è stata tra le privatizzazioni più felici, viste le difficoltà di governance. In ogni caso, valutiamo l’investimento in corso come un’ulteriore possibilità di sviluppo dell’azienda. E la rete resta un asset strategico che il governo intende presidiare.E l’attesa emanazione del regolamento sulla golden share, ancora mancante?Si farà, ma non penso che possa avere effetti su questa acquisizione, visto che in Europa, è bene ribadirlo, c’è la libera circolazione dei capitali.Lo stesso potrebbe accadere in altri settori strategici, come la Difesa? Saranno tutelati dal rischio di "svendite"?Lo saranno. Il governo, nel rispetto delle norme italiane ed europee, dispone di tutti i "filtri" per decidere quando porre argini, nel caso, ad esempio, che il progetto d’acquisizione provenga da Paesi non europei o coi quali non c’è, come dire, familiarità.Passiamo agli investimenti. L’Italia è ancora percepita come il pantano delle lungaggini e della burocrazia.Presto non lo sarà più. Gli interventi previsti servono a migliorare la competitività, creando un ecosistema "coerente", sia per gli stranieri che per gli italiani. Il doing business, la possibilità di fare impresa, dovrà essere agevole, semplificando tutti i rapporti fra chi investe e i pubblici uffici.Come?La prima richiesta degli imprenditori è d’avere certezza: delle norme giuridiche, delle regole sui permessi, dei tempi per effettuare le pratiche, delle misure fiscali. Bisogna ottenerla con interventi mirati: in queste ore, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate sta predisponendo uno sportello unico per gli investitori stranieri, che sia in grado di concludere dei tax agreement, in modo che l’impresa sappia nei prossimi 5 anni quanto dovrà pagare.E per la giustizia civile?Pensiamo di estendere le competenze dei tribunali per le imprese e creare fori specifici per le controversie con aziende straniere.