Economia

Intervista. Patuelli (Abi): «Ora le premesse per la riscossa»

Pietro Saccò domenica 22 marzo 2020

Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana

«Inevitabilmente il male spinge verso le sensibilità migliori» sottolinea subito Antonio Patuelli. Al lavoro da casa, come tanti italiani, il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi) vede attorno a sé un «fortissimo disorientamento», ma anche il bene che sta emergendo in queste settimane difficili: «Veniamo da anni in cui in Occidente troppo spesso sono prevalse parole di odio. L’aggressività verbale e psicologica che era così onnipresente è stata travolta e spazzata via in poche settimane. Ci sono invece molta più attenzione all’importanza della scienza; una valorizzazione dell’etica che si vede nell’apprezzamento verso tutti coloro che si adoperano per salvare vite umane; grande solidarietà. Questo non è il momento della polemica, è il momento di fare tutto il possibile e l’immaginabile oltre a quanto disposto dalle norme».

Le sembra che davvero l’Europa oggi sia pronta a fare tutto il possibile?

Vedo cambiamenti netti in meglio da parte degli organismi europei. La Commissione riconosce come questo problema riguardi tutti e inizia a rivedere abitudini burocratiche consolidate. La Banca centrale europea dopo l’iniziale titubanza con l’intervento di mercoledì ha ritrovato l’energia e la forza d’iniziativa dei migliori anni della presidenza di Mario Draghi. Anche il ramo della Vigilanza della Bce, con la presidenza di Andrea Enria, senza clamori ha sviluppato da qualche giorno una revisione delle maggiori rigidezze imposte dalla sua predecessora Danièle Nouy alle banche e, tramite le banche, alle imprese. Ora toccherebbe a Bruxelles rivedere alcune norme bancarie, come quella sul calendario di deterioramento dei crediti: nella situazione in cui ci troviamo non possiamo accettare che con soli novanta giorni di ritardo un credito diventi deteriorato. È il mo- mento di favorire le imprese e le famiglie che devono resistere alla crisi e mettere le premesse per una riscossa.

Possiamo definire chiusa la questione dell’infelice uscita di Lagarde sulla Bce che «non è qui per chiudere gli spread»?

La decisione di mercoledì sera del Consiglio direttivo Bce è stata un forte ravvedimento operoso e, da parte della presidente Lagarde, una sostanziale autocritica.

Le banche italiane sembrano sempre nel mirino. Il vice direttore generale della Banca d’Italia ha dovuto scrivere al New York Times per rispondere a un articolo allarmante sulle prospettive del settore.

Ho apprezzato molto la risposta della Banca d’Italia sia nei contenuti che nella scelta stessa di opporre la scienza e l’autorevolezza della nostra Banca centrale a un attacco simile. Devo dire che mi ha stupito vedere che il clima isolazionista dell’America di questi anni, anni in cui gli Stati Uniti di Donald Trump non guardano all’Europa con benevolenza, abbia contagiato anche un giornale equilibrato come il New York Times. Spero che da questa crisi nasca anche una revisione dello stato d’animo dell’America verso l’Europa.

Davanti all’emergenza l’Abi e le associazioni delle imprese si sono mosse in anticipo con la moratoria sui finanziamenti. Poi è arrivato il decreto Cura Italia che ha rafforzato le garanzie pubbliche. È sufficiente?

Il decreto è una risposta costruttiva, non definitiva ma costruttiva. Mentre le crisi del 2008 e del 2011 ebbero risposte di austerità che contribuirono alla recessione, questa volte le autorità italiane, con il ministro dell’Economia in testa, hanno avuto un approccio diverso e più costruttivo verso l’economia produttiva, le famiglie e le imprese. Nel decreto Cura Italia non vi sono aiuti alle banche, ma aiuti alle imprese e così è bene che sia: come banche abbiamo bisogno di imprese e famiglie in salute, sanitaria, sociale ed economica.

Basta un piano da 25 miliardi a rilanciare un Paese che ha un Pil di oltre 1.700 miliardi?

Il nostro problema è il debito accumulato con scarsa lungimiranza dagli anni ’60 del secolo scorso. Ora bisogna fare l’impossibile, anche con l’aiuto dell’Europa, per la ripresa. Serve un piano Marshall, ma le risorse stavolta devono venire dall’interno, Perché non vengono dagli Stati Uniti. L’Europa stavolta non è divisa come dopo la II Guerra Mondiale, quando c’erano vincitori e sconfitti. Il coronavirus ci lascia sconfitti tutti. Sarebbe opportuno che l’Europa facesse un grande piano di sviluppo, con infrastrutture materiali e immateriali, a sostegno della ripresa. Un piano che può finanziare con Eurobond, titoli del debito pubblico europei garantiti dall’Ue. Il lancio degli Eurobond sarebbe molto importante per la ripresa dello sviluppo e per la stabilità del settore finanziario.

I sindacati bancari chiedono di chiudere le filiali per tutelare la salute del personale. Avete respinto la loro richiesta?

Nella serata di lunedì è stato concordato un protocollo tra l’Associazione e i rappresentanti dei lavoratori e nella mattina di mercoledì il comitato esecutivo dell’Abi lo ha approvato all’unanimità. C’è forte condivisione degli obiettivi di tutela della salute con i sindacati, che apprezzo per la costruttività dei rapporti. Sull’apertura delle filiali il governo ha disposto che i servizi postali e bancari siano tra quelli essenziali e quindi debbano essere assicurati. Se c’è la richiesta di chiudere le filiali è logico che venga diretta al governo, che ha il potere per disporla.

È vero che le persone continuano a venire in filiale come niente fosse?

Domenica scorsa abbiamo lanciato l’appello a non venire in banca e sfruttare per quanto possibile la possibilità di fare operazionI al telefono o al computer. Devo dire che ogni giorno che passa cala drasticamente il numero di coloro che chiede di accedere allo sportello.

Vi sembra che in questa emergenza gli italiani siano preoccupati per il destino dei loro risparmi?

È difficile rispondere, ma la preoccupazione per i risparmi liquidi non c’è, perché l’euro è moneta solida che non dà preoccupazioni di perdita di potere di acquisto. Per gli investimenti finanziari dipende dalle scelte di ognuno. Le Borse mondiali sono sull’ottovolante, ma è dal 2008 che è così: di conseguenza, se è notte, si farà giorno, l’importante è fare prevalere la razionalità, frigido pacatoque animo.