Economia

Lo studio. L'alimentare ha sostenuto l'Italia durante la crisi. Ora chiede un piano

Pietro Saccò giovedì 24 settembre 2020

Un addetto al lavoro in uno stabilimento di produzione di pasta Barilla

Quello che si chiude quest’anno è il decennio peggiore per l’economia italiana: secondo le ultime stime della Commissione europea dovremmo chiudere il 2020 con un Prodotto interno lordo inferiore di quasi il 9% rispetto a quello di inizio 2011. È stata una lunga crisi che il Covid-19 ha improvvisamente reso ancora più grave. L’industria alimentare è stata però una delle più robuste stampelle dell’economia nazionale. Le aziende che producono cibo e bevande hanno avuto una funzione anticiclica, come dicono gli economisti.

Uno studio di Nomisma per le associazioni di aziende di consumo Centromarca e Ibc conferma che tra il 2008 e il 2009 mentre il valore aggiunto dell’intero settore manifatturiero italiano cresceva del 7% quello delle aziende di trasformazione alimentare aumentava del 19%. Nello stesso periodo, le aziende dell’alimentare aumentavano l’occupazione del 2% e le esportazioni dell’81%, quando per il resto del manifatturiero l’occupazione crollava del 13% e l’export saliva del 30%. Oggi l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco fa l’11% del valore aggiunto del manifatturiero italiano.

Se le aziende chiedono a Nomisma di mostrare i dati di quanto questo settore sia strategico per l’economia nazionale è perché anche l’alimentare sta vivendo le sue difficoltà. È vero che durante i mesi dei lockdown non si è interrotta la produzione, considerata ovviamente essenziale. Ma è anche vero che le chiusure di bar e ristoranti e il crollo del turismo hanno colpito anche i ricavi delle aziende alimentari: rispetto al 2019 i fatturati sono scesi del 9,5% ad aprile, del 5,8% a maggio, dell’1,1% a giugno e a luglio. È in difficoltà anche il vino, le cui esportazioni sono diminuite del 4%. Il 42% delle imprese che producono cibo e bevande consultate da Nomisma lamenta un calo delle vendite all’estero, il 38% delle aziende che avevano pianificato investimenti li sta “rimodulando”, il 31% li ha rinviati (mentre un altro 31% li ha confermati).

Le aziende associate in Centromarca e Ibc stanno facendo pressione sul governo perché elabori un piano su più anni che agevoli la sostenibilità della filiera alimentare, l’innovazione tecnologica, le aggregazioni tra imprese. Le fusioni sono considerate fondamentali per aiutare le aziende italiane a competere con i rivali stranieri, che hanno dimensioni superiori: solo 49 imprese, lo 0,1% del settore, fatturano più di 350 milioni di euro all’anno. L’86% delle aziende ha meno di 10 addetti.

«Abbiamo davanti tre sfide: la crescita di competitività di sistema, la riduzione della burocrazia e la dimensione aziendale. Emerge in modo evidentissimo come il fatto che le aziende siano piccole rende impossibile il proiettarsi verso altri paesi. Colpisce che lo 0,2% delle aziende fa il 51% dell’export, a molte manca una dimensione per potere pensare ai mercati esteri» ha detto Francesco Mutti, presidente di Centromarca e Ad di Mutti. «L’industria dell’agroalimentare italiana è per sua natura ad alto valore aggiunto. Non competiamo con chi fa produzioni intensive, siamo “condannati” alla qualità» ha aggiunto Alessandro D’Este, presidente di Ibc e Ad di Ferrero Italia. D’Este ha anche sottolineato quanto sia importante rilanciare il mercato dei consumi fuori casa, che hanno un ruolo importante per promuovere il cibo italiano. Per favorire lo sviluppo del settore con investimenti su digitale, recupero di efficienza e contrasto al dissesto idrogeologico possono essere anche usate le risorse del Recovery Fund, ha ricordato Paolo De Castro, membro del comitato scientifico di Nomisma ed europarlamentare. «Le vostre preoccupazioni sono le mie» ha assicurato Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura, intervenendo a distanza alla presentazione dell’indagine di Nomisma. Bellanova ha aggiunto che «siamo impegnati affinché il sistema agroalimentare sia centrale nelle politiche di spesa del Recovery fund».