Economia

L'intervista. «Nascono posti di lavoro che non sappiamo coprire»

Paolo Viana sabato 11 giugno 2016
Avete appena raggiunto un accordo con Fieg, in base al quale investirete 12 milioni di euro: significa che credete nel futuro dell’editoria giornalistica tradizionale?Io ho lavorato per più di otto anni in Rcs, Sole 24 ore ed Espresso e sono convinto – risponde Fabio Vaccarono, managing director di Google per l’Italia, che è intervenuto ieri al 46° convegno dei Giovani di Confindustria a Santa Margherita Ligure – che il valore dei contenuti che produce ne faccia una realtà ad alta densità di futuro. Detto questo, è sotto gli occhi di tutti la sfida di immaginare il contenuto distribuito non più soltanto nelle forme fisiche che lo hanno reso di successo: quanto più gli editori riusciranno a immaginarsi produttori di contenuti di eccellenza per un pubblico di "altopensanti" o comunque di fruitori di eccellenza, sulla base di un contratto di lettura "storico" e che si rinnova in forme diverse, tanto più quel futuro sarà brillante.Non crede che il passaggio dalla carta al digitale sia bloccato da un digital divide culturale, più che infrastrutturale?Il nostro investimento riflette proprio questa preoccupazione. Nonostante il 25% della crescita dei Paesi del G20 venga dall’economia digitale, il 40% dei nostri imprenditori, quando vengono intervistati, risponde ancora che internet non è importante per l’azienda. Urge una riconversione culturale.Cosa si rischia?Entro il 2020 si creeranno 900mila posti di lavoro che oggi non saremmo in grado di coprire per mancanza di competenze digitali: l’85% dei mestieri potrà essere svolto solo possedendole. È una rivoluzione trasversale e orizzontale, paragonabile all’avvento dell’elettricità.Cosa state facendo per "formare" il vostro mercato?Abbiamo creato un centro per digitalizzare un milione di libri, in accordo con il governo, perché riteniamo che la cultura e il turismo possono essere un volano: si potrebbero creare 440-480mila posti di lavoro; investiamo nella formazione delle PMI, con Unioncamere, formando 250 giovani digitalizzatori in 3 anni; abbiamo aperto l’Officina dei nuovi lavori a Roma, per 10mila giovani Neet (che non studiano e non lavorano); "Crescere in digitale", infine, offre 50 ore di formazione al digitale a tutti gli iscritti a Garanzia Giovani. In oltre 62.000 sono iscritti e oltre 5000 hanno completato il corso.Quale scuola educherà i nuovi italiani digitali?Quella che è stata alla base di una formazione di qualità nell’epoca industriale resterà tale dal punto di vista della metodologia e del percorso didattico: si deve avvicinare il mondo della scuola alle vertiginose specializzazioni imposte dalla rivoluzione digitale – siamo ancora reticenti nell’imbarcarci in percorsi tecnico-scientifici e le ragazze tendono a non frequentare i corsi di informatica… – ma i licei daranno ancora l’attitudine a imparare e a confrontarsi con sentieri ignoti, a strutturare problemi complessi rispetto ai quali non si possono applicare logiche estrapolative e questo sarà ancora importante perché permetterà di innestare gli specialismi su un corpus di capacità che insegnano a dirimere le grandi sfide. Cosa facciamo di chi non è e non sarà mai digitale?Cambierà tutto, non dobbiamo averne paura. In questo momento ci sono 2,9 miliardi di persone collegate in rete, ciascuna delle quali accede a internet con 2,2devices, ma nel 2020 saranno 6 miliardi con 5,5 devices a testa, orologi compresi. Noi investiamo sui giovani ma lavoriamo anche sulla conversione dei cinquantenni. L’emergenza economica è però quella di popolare l’Italia di persone formate accessibili alle imprese: il 23% dei piccoli imprenditori che si convince a fare un percorso di digitalizzazione dell’azienda poi non trova le competenze che gli servono.