Economia

Pil. Micro-economia a impatto sociale

Andrea Di Turi lunedì 13 luglio 2015
​Crescono a livello mondiale le iniziative che promuovono una finanza e un’economia "a impatto", dove l’obiettivo è la produzione di un impatto sociale positivo sulla collettività, accanto a un ritorno economico ragionevole. Una delle più organiche è la Siit (Social impact investment task force), varata nel 2013 in ambito G8. Nei giorni scorsi, a Londra, «è stata deliberata la trasformazione della task force in un comitato di coordinamento globale», spiega Giovanna Melandri, presidente di Human Foundation, che era presente come coordinatrice dell’Advisory board italiano della Siit. In pratica si è costituito una sorta di G20 dell’impact investment, con l’ingresso di Paesi quali Brasile, Cina, India, Israele, Messico, Portogallo.Prende così quota la riflessione sulla necessità che il sistema economico-finanziario realizzi quel "cambiamento" che nel suo viaggio in terra latinoamericana è stato invocato dallo stesso Papa Francesco, il quale già un anno fa aveva speso parole di apprezzamento per gli impact investor. Che potrebbero infatti dare un sostegno importante alla definizione di nuovi indicatori e metriche, nuove bussole, oltre il Pil, su cui orientare lo sviluppo.Da dove partire per avviare questo "cambiamento"?Intanto dai mercati finanziari: il modo in cui funzionano oggi non ci soddisfa assolutamente, perché non rispondono ai bisogni sociali. Anche i soggetti pubblici, in Europa e nel mondo, con le risorse messe oggi in campo non riescono a rispondere alle esigenze d’innovazione sociale. Ne consegue che le esperienze, che pure si stanno attivando nel mondo, tese a soddisfare quei bisogni non possono raggiungere dimensioni adeguate. Ecco perché, come dice Muhammad Yunus, serve applicare lo spirito imprenditoriale alla soluzione di problemi sociali: può essere una straordinaria rivoluzione. Il nostro obiettivo è attivare una grande ondata d’investimenti a impatto sociale: una finanza "3D", che oltre a rischio e rendimento utilizza come parametri indicatori d’impatto sociale.A livello macro le proposte di indicatori alternativi al Pil sono varie: dal Bes (Benessere equo e sostenibile) sviluppato da Istat e Cnel al Better Life Index dell’Ocse, allo Human Development Index di matrice Onu. Ma esiste il "perfetto" indicatore alternativo al Pil?Non credo. Anche se su un piano macroeconomico c’è senza dubbio la necessità di definire indicatori che superino quell’"idolo bugiardo" che è il Pil, come già lo chiamarono economisti quali Giorgio Ruffolo e Federico Caffè (di cui Melandri è stata allieva, ndr). Perché il Pil non registra il valore sociale, né quello creato, né quello distrutto.E a livello micro?Come Human Foundation per la valutazione d’impatto di progetti sociali utilizziamo lo Sroi (Social return on investment, ndr), che è interessante perché permette di apprezzare l’intera catena del valore sociale prodotto, non solo l’output ma l’outcome. Ma ci sono altri indicatori. E poi a volte misurazione e valutazione devono essere fatte caso per caso. Non dobbiamo costruire un altro "idolo". Ma non dobbiamo neanche negare la necessità della misurazione.Perché definire indicatori di misurazione del valore sociale è determinante?Perché sono l’infrastruttura intangibile fondamentale per rendere possibile la rivoluzione di cui parlavo. Non si deve vivere la misurazione come finalizzata al controllo, bensì al miglioramento: gli indicatori sono prima di tutto uno strumento di supporto all’elaborazione di strategie. Certo, rappresentano una sfida: per l’erogatore pubblico, affinché la spesa sia più efficiente ed efficace; per le imprese, obbligate a ragionare sul valore sociale e ambientale che producono o distruggono; per gli investitori istituzionali, chiamati a canalizzare parte delle loro risorse verso investimenti a impatto, con rendimenti moderati ma anche basso rischio e bassa volatilità; e per gli operatori del Terzo settore, che devono integrarli nelle strategie.Nei prossimi mesi arriveranno i nuovi Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite. Ci sarà Cop21, la conferenza sul climate change a Parigi. E si aprirà l’Anno Giubilare. Questi grandi eventi aiuteranno a promuovere il cambiamento?Posso dire, avendo partecipato di recente a un incontro con Jeffrey Sachs, che con Ban Ki-moon sta lavorando ai nuovi Millennium development goals, che c’è grande interesse per il movimento degli impact investment, con ipotesi di attivare fondi impact globali per alcuni dei goals. Ci sono esempi come il Portogallo, che con un investimento di oltre 100 milioni di euro tratti dai fondi strutturali comunitari ha varato un’agenda per attivare il mercato dell’impact investment: potremmo farlo anche in Italia, del resto è una delle 40 proposte avanzate da quasi un anno dal nostro Advisory board. Nell’anno del Giubileo sarebbe poi molto bello, è un sogno a cui stiamo lavorando, poter avere a livello di task force un nuovo incontro con Papa Francesco, che a Londra ad esempio è stato citatissimo, per confrontarci con lui su questi temi: come dare spazio a una finanza inclusiva, generativa, che attraverso la creazione di valore sociale, positivo e misurabile, affronta problemi sociali.