Economia

L'inchiesta. Marmo, polemiche e timori per il piano toscano

Giuseppe Matarazzo domenica 3 agosto 2014
Il marmo di Carrara parlerà un po’ arabo. Una società del gruppo Benladen (proprio i parenti 'buoni' del terrorista Osama), terzo colosso mondiale delle costruzioni, ha comprato per 45 milioni la Erton, titolare del 50% della Marmi Carrrara, che a sua volta partecipa per il 50% alla holding che controlla un terzo dei lotti delle cave carrarine. La Cpc Marble&Granite Ltd, con sede a Cipro, da tempo intrattiene rapporti commerciali con i produttori di marmo del distretto apuano. Solo lo scorso anno ha assegnato commesse per 40 milioni. L’operazione che potrebbe garantire un solido futuro commerciale al marmo, segna sicuramente una svolta per Carrara. E arriva in un momento particolare, di accesi dibattiti sul futuro di un settore che da millenni rappresenta questo spicchio di Toscana, ma anche dell’Italia, nel mondo. Perché se le cave apuane fanno gola a investitori e imprese straniere, ai piedi di queste montagne, nel distretto lapideo fra Carrara, la Versilia e la Lunigiana, sono il pomo della discordia. In termini normativi, ma anche economici e ambientali. In un territorio ricco di marmo, ma 'scalfito', ferito. Dove configgono interessi e istanze diverse, degenerate in una guerra di tutti contro tutti dopo i recenti passi avanti legislativi che tentano di riordinare il settore. Il casus belli che ha portato persino alla clamorosa serrata di due giorni, a inizio luglio, da parte degli imprenditori del settore, è arrivato con il via libera della Regione Toscana al Piano paesaggistico, che contiene al suo interno anche il «Piano Cave». La disciplina prevede che non sia ammessa l’apertura di nuove cave nell’area del parco, salvaguarda le creste oltre i 1.200 metri, consente la riattivazione delle cave dismesse da non oltre 20 anni e l’ampliamento di quelle esistenti. Un piano che scontenta tutti: le imprese si sentono minacciate e gli ambientalisti (che hanno raccolto 100mila firme a difesa delle Alpi Apuane) avrebbero voluto una linea ancora più dura (Legambiente parla di una «lobby della speculazione del marmo che la fa da padrona»).  A Carrara, 60mila abitanti, i dipendenti diretti del settore sono un migliaio, 2.500 con l’indotto. Nel distretto, se ne calcolano diecimila. Qui lavorano duemila aziende che generano ricavi per 2 miliardi. «C’è una visione del paesaggio conservativa e norme ambigue che nel tempo porteranno a una limitazione progressiva dell’attività estrattiva, con ripercussioni sul lavoro e l’economia del territorio – denuncia il direttore di Assindustria, Andrea Balestri –. Già la produzione a Carrara è attorno alle 900mila tonnellate, il 25% in meno del 2002. Le cave fanno parte del paesaggio e ne costituiscono un vanto di bellezza». È un muro contro muro anche con l’amministrazione comunale. «Il piano della Regione – replica l’assessore al Marmo, Andrea Vannucci – è l’assicurazione per la vita delle cave. Non c’è nessuna chiusura, né minaccia. C’è la necessità di un riordino normativo che chiuda annose questioni che si trascinano da troppo tempo». La giunta guidata dal sindaco, Angelo Zubbani, da anni è impegnata a trovare una soluzione sostenibile della gestione delle cave, e risolvere una volta per tutte anche il problema dei cosiddetti beni estimati, generati da un editto dell’1 febbraio 1751 di Maria Teresa Cybo Malaspina, duchessa di Massa e principessa di Carrara. L’amministrazione con il supporto legislativo della Regione, e forte del parere del professore Emanuele Conte (Roma Tre), esperto di storia del diritto medievale, punta a superare questi retaggi e a mettere ordine su patrimonio pubblico, concessioni , vincoli e tributi. Il vero nodo della discordia diventa così la revisione della Legge 78/98, il testo unico in materie di cave, che dovrebbe andare in Giunta regionale a giorni. Il regolamento comunale che ne consegue, nella bozza, definisce tutte le aree in cui si estrae marmo come «agri marmifere», chiarisce il regime pubblicistico delle concessioni e sancisce il principio assoluto che le cave appartengono al «patrimonio indisponibile del Comune». Tutte le 80 che insistono nel territorio carrarino. «Siamo all’esprorio», attaccano gli industriali. «È un momento storico», è invece la reazione di Zubbani. Il sindaco ricorda lo «sforzo enorme per la realizzazione della strada marmifera che ha portato via dal centro i mille camion che ogni giorno inquinavano la città, ma che oggi pesa fortemente sulle casse comunali». Adesso «ciascuno faccia la sua parte».  La città, fra le aree più povere della Toscana nonostante l’oro bianco, assiste con velata rassegnazione a queste diatribe. «Oggi si va allo scontro – dice il segretario provinciale Cisl di Massa Carrara, Andrea Figaia – mentre sarebbe necessario fare sistema. Senza pregiudizi e senza difese corporative. In questa delicata fase di crisi, ci stiamo giocando il futuro. Il distretto lapideo deve continuare a vivere, dando valore al marmo. Rispettando la storia, il lavoro dei cavatori e l’ambiente. Perché dobbiamo creare le condizioni di una Borsa del marmo bianco a Dubai e non la facciamo qui?». Se oggi le cave sono il pomo della discordia, «forse – conclude Figaia – è il momento di farle diventare leva di un nuovo rilancio. Per il futuro dei nostri figli. E di Carrara».