Economia

MELFI. La sfida di Marchionne: un nuovo patto sociale

Paolo Viana venerdì 27 agosto 2010
«Non mollare». Una voce cavalca la marea di volti abbronzati, di magliette madide di sudore, di mani che si spellano e arriva fino a Sergio Marchionne. Il quale sorride e rassicura i supporter, in pratica l’intera platea della kermesse ciellina: sul caso dei tre operai licenziati e reintegrati a Melfi, la Fiat «ha rispettato la legge» ed è «inammissibile difendere la mancanza di rispetto delle regole e gli illeciti che in qualche caso sono arrivati al sabotaggio».L’Ad del gruppo – che ieri a Rimini ha avuto anche un breve incontro con il ministro Alfano – non ha nessuna intenzione di mollare, perché è tempo di «abbandonare un modello che pensa solo a difendere il passato», ma ha detto che intende accogliere l’invito di Napolitano «a cercare di trovare una soluzione a questo problema e mandare avanti le cose». È ancora irritato per la «gravità delle accuse» che hanno bersagliato la società automobilistica in queste settimane e puntualizza che i diritti dei lavoratori «non sono patrimonio di tre persone».L’uomo che sta rivoluzionando le relazioni sindacali ieri ha proposto «un patto sociale» che superi la lotta padroni-operai. Unica condizione: che sia «condiviso da tutte le organizzazioni sindacali e datoriali, non solo da Fiat, e venga realmente rispettato». Marchionne è pronto a discuterne con Epifani. Anzi, è «totalmente aperto a parlare» con il leader Cgil anche se probabilmente sarà un confronto «chiaro e diretto» come ha detto di voler parlare ieri, «a costo di passare per rude».Lo è stato, a tratti. Sicuramente Marchionne non molla e non solo per il tifo della pattuglia teatina che ha risalito la riviera adriatica per sostenere l’illustre concittadino, o per l’entusiasmo degli imprenditori della Cdo, che già vedono nel top manager un leader capace di ispirare un cambiamento radicale delle relazioni industriali. Lui, del resto, non si sottrae a descrivere l’accordo di Pomigliano come una svolta irreversibile, quasi un manifesto fondativo: «Non siamo più negli anni ’60» è tornato a ripetere ieri, sostenendo che è in atto «la contrapposizione fra due modelli, uno che guarda al futuro e uno che difende il passato». Fiat «ha fatto la propria scelta», di «stare al passo con la realtà» in un «mondo complicato» ed è «l’unica azienda disposta ad investire 20 miliardi in Italia»; eppure, ha lamentato, «questi sforzi non vengono compresi o non vengono apprezzati intenzionalmente».Decisioni come quella di Melfi – ha ammesso – «non sono popolari» ma «non si può fare finta di niente» ha sottolineato difendendo l’accordo – rigettato dalla sola Fiom – che ha introdotto i 18 turni settimanali (sabato sera compreso), raddoppiati gli straordinari che la società può imporre senza alcuna consultazione preventiva, previste penalizzazioni in caso di assenteismo abnorme e una tregua sindacale.«Gli accordi stipulati devono essere applicati – ha ammonito –. Se no, sarà il caos. Non credo sia onesto usare i diritti di pochi per piegare i diritti di molti», ha detto tra gli applausi. «Non è giusto per l’azienda, ma soprattutto non è giusto per gli altri lavoratori», ha aggiunto, ribadendo che la società «ha dato pieno seguito al primo provvedimento della magistratura», che ha ordinato il reintegro dei tre operai licenziati. Il secondo giudizio è atteso per il 6 ottobre: «Ci auguriamo che sia meno condizionato del primo dall’enfasi mediatica» ha concluso l’Ad di Fiat e Chrysler.