Economia

Analisi. Turismo, se le città si ribellano al «mordi e fuggi»

Giuseppe Matarazzo sabato 5 agosto 2017

«Barcellona non è in vendita. Basta al turismo di massa». Basta allo 'sbarco' infinito di visitatori che arrivano con aerei low cost in cerca della movida della Rambla o della Barceloneta, «qui non si vive più». La città spagnola dell’indipendentista catalogna ha da mesi dichiarato guerra all’«invasione» selvaggia dei turisti. Con i residenti in piazza a protestare e l’affissione ai balconi di striscioni e cartelli del tipo: «Yo vivo a qui. Sin turistas». Come a Venezia, la regina del turismo italiano che tutto il mondo ci invidia e dove da anni si trascinano polemiche sul turismo selvaggio 'mordi e fuggi', le grandi navi e lo spopolamento delle calli. Anche nella città lagunare la gente manifesta per 'riprendersi' i canali, e gli slogan sono dello stesso tono: «Mi no vado via». Chi l’avrebbe mai detto? Il boom del turismo in molte realtà sta sfociando in un serio problema di convivenza. Dopo anni di 'gare' a distanza e investimenti per arrivare in cima alle classifiche delle città più desiderate e visitate, ora il 'giocattolo' sembra essersi rotto. È indubbio che il turismo è l’industria più importante del nuovo secolo. Per dirla con Marco D’Eramo (I selfie del mondo, Feltrinelli) «la nostra epoca può essere seriamente definita l’età del turismo». Siamo tutti turisti e viaggiatori, e in qualche modo tutti ospitanti. Guardiamo «con sufficienza chi si scatta un selfie davanti alla Torre di Pisa, attribuendogli lo stereotipo di turista», ma – è ancora D’Eramo a pungolare – «siamo così diversi quando andiamo in vacanza a Parigi, New York o a Tokyo, sentendoci viaggiatori mentre ci affanniamo a visitare tutti i monumenti imperdibili?». Viviamo in un mondo che grazie allo sviluppo e alla 'democratizzazione' del trasporto aereo si è rimpicciolito rendendo i posti più belli sempre più raggiungibili da un bacino di visitatori sempre più ampio: il numero di viaggiatori internazionali ha ampiamente superato il miliardo di persone e interessa nuovi mercati e fasce di popolazione. E poi c’è la Rete, ci sono i nuovi strumenti di marketing e nuovi sistemi di viaggio e di ricettività, su tutti il fenomeno Airbnb (e i suoi fratelli) che ha rivoluzionato e allargato a dismisura l’offerta e la capacità di carico di molte città. Barcellona e Venezia sono casi simbolo ed estremi. Ma non isolati. Anche dall’altra parte del mondo, a Kyoto, nel civilissimo, pulitissimo e discreto Giappone i residenti hanno sollevato il problema dell’«inquinamento turistico». Secondo un’indagine del quotidiano Asahi Shimbun la popolazione locale «ritiene che siano stati raggiunti i limiti di sostenibilità». Code chilometriche, comportamenti irrispettosi dei forestieri cominciano a turbare il tranquillo Paese del Sol levante che fino a cento anni fa era impenetrabile dagli stranieri e negli ultimi anni ha visto (e cercato) una esplosione del turismo, passato in poco tempo da 5 a 20 milioni di turisti stranieri all’anno, puntando al record nel 2020 in occasione delle Olimpiadi. Tornando dalle nostre parti, con un altro piccolo ma illuminante esempio, è bastato un video postato su Facebook (e divenuto virale) da un ragazzo che ha definito la Valle Verzasca, nel Canton Ticino, «un posto pazzesco», le «Maldive a un’ora da Milano», perché una tranquilla zona naturalistica venisse letteralmente presa d’assalto da migliaia di inaspettati visitatori: un regalo che i residenti non hanno particolarmente gradito, lamentando «disagi e maleducazione»: «Non hanno rispetto di nulla, dormono in auto, girano seminudi, hanno sconvolto la pace della valle».


Cosa sta succedendo? Siamo diventati turismo-fobici? Anche per il turismo siamo al 'tutti a casa loro', 'tourist go home'? «Sta succedendo, come previsto in tanti studi, che non avendo fatto alcuna regolamentazione dei flussi e non avendo mai pensato a una vera governance del turismo, le città più visitate si siano riempite fino al punto che i benefici economici generati dal turismo comincino a non giustificare i costi che la crescita esponenziale del turismo genera nella qualità della vita dei cittadini che quelle città abitano – risponde il professore Antonio Paolo Russo, docente nella facoltà di Turismo e Geografia dell’Università di Rovira i Virgili di Tarragona –. Un sentimento in alcune realtà percepito in maniera così generalizzata che la gente ha cominciato a manifestarne il disagio». Sotto accusa finisce in particolare il sistema di ospitalità filtrato da piattaforme online, modello Airbnb, che ha consentito sì di allargare la ricettività, ma in alcuni casi ha snaturato i luoghi e forse il senso stesso della sharing economy che sta alla base del fenomeno (pensiamo all’ingresso nel mercato di grosse società immobiliari internazionali che stanno rastrellando appartamenti proprio per questo fine, diventando padroni di pezzi di città nel mondo). «Nel Barrio Gotico di Barcellona, fra i più battuti dai turisti, una casa su cinque è su Airbnb – continua Russo –. Un edificio su due ha almeno un appartamento in offerta. Questo sistema ha incentivato il turismo 'mordi e fuggi', senza regole, trasformando i residenti in mediatori immobiliari che preferiscono affittare in questo modo piuttosto che a medio e lungo termine a uno studente universitario fuori sede o a una famiglia. Addirittura preferisce spostarsi per mettere a reddito un appartamento il cui valore cresce a dismisura». Il fenomeno conseguente è quello che dall’inglese è stato tradotto in 'gentrificazione': la trasformazione di un quartiere popolare in uno di pregio. E che nella 'modalità turistica' ha effetti fortemente impattanti: «Perché – conclude Russo – si sostituisce popolazione popolare con 'non popolazione', che non si interessa della città, non vota, non è residente. Turisti che scalzano anche gli studenti fuori sede, la generazione Erasmus che ha contribuito a tenere vive e animate, anche culturalmente, le città. Come accaduto a Venezia… ». A Barcellona, il neo sindaco Ada Colau, ex leader del movimento antisfratto e alleata di Podemos, ha firmato un provvedimento drastico, sulla base di un piano che prevede una sorta di 'decrescita alberghiera': in centro non sarà possibile costruire nuovi alberghi né rimpiazzare alberghi chiusi con altre strutture nuove. «Non vogliamo fare la fine di Venezia », ha detto il primo cittadino catalano in più occasioni.


«Non può esserci la bacchetta magica per risolvere fenomeni così complessi e connessi a tante variabili legate ai trasporti, alla ricettività alberghiera, al marketing, ai servizi nel territorio, al Fisco – rileva Alessia Mariotti, professoressa di Geografia economica all’Università di Bologna e direttrice del Centro di studi avanzati sul turismo del Campus di Rimini –. La protesta dei residenti è legittima: ma non protestano contro i turisti, bensì contro chi non ha fatto scelte, non ha predisposto una corretta pianificazione, che in passato ha spinto troppo su politiche di promozione, senza valutare la capacità di carico del territorio. E questo vale per città grandi e per realtà piccole». C’è anche un altro aspetto che evidenzia Mariotti, e riguarda i cambiamenti sociali: «Di fatto non esiste più la villeggiatura che permetteva di avere un quadro ordinato e regolare dei flussi. Oggi facciamo i conti con una frammentazione dei periodi di vacanze, con i weekend, con le nuove mode dettate anche da rivoluzioni nel mondo del lavoro, dai contratti a termine e dalla precarietà giovanile… Fare previsioni è più difficile». Nelle città 'assediate dai turisti', la soluzione non può essere però, come a Venezia, l’invocazione di 'numeri chiusi', o provvedimenti estemporanei, come a Firenze, con l’uso degli idranti per evitare il bivacco dei turisti su sagrati e marciapiedi. «Piuttosto che limitazioni all’entrata – suggerisce la professoressa – si dovrebbero favorire sistemi premianti con sconti e bonus per chi resta di più, disincentivando il mordi e fuggi. Riflettiamo anche sul fatto che l’affollamento si registra su vie limitate. Venezia per 2/3 è semivuota. I turisti fanno gli stessi percorsi, agli stessi orari. Basterebbe allargare il giro, rendere turistiche strade e zone che oggi non lo sono per decongestionare le zone calde… È sempre questione di 'governance'. Il Mibact ha approvato nei mesi scorsi un piano strategico sul turismo. È un primo passo significativo, considerato che l’Italia non l’ha mai avuto. Vedremo dove ci porterà». Nel frattempo vale forse la pena affrontare con decisione la questione della vivibilità delle città nell’età del turismo. Senza arrivare all’esasperato (e controproducente) 'turist go home'.