Economia

LAVORO. L’Europa fa i conti con la disoccupazione

martedì 17 marzo 2009
Quasi settecentomila posti di lavoro vo­latilizzati nel giro di soli tre mesi, subi­to dopo l’esplosione della crisi nel 'set­tembre nero' 2008. È il primo allar­mante bilancio sugli effetti della recessione in Europa. Le cifre arrivano da Eurostat e riguar­dano appunto l’ultimo trimestre dello scorso anno, quando l’onda innescata dal crollo del­le Borse e dalla tempesta finanziaria ha co­minciato tracimare sull’economia in «carne ed ossa». Con effetti rapidi e brutali: i soli Pae­si dell’Euro hanno visto calare i posti di lavo­ro di oltre 450mila unità rispetto ai tre mesi precedenti. In Italia il ciclo era già debole e l’effetto è sta­to meno marcato che altrove (-0,1% di occu­pati a fronte del -0,3% europeo sul trimestre prima). Ma il conto della crisi nel nostro Paese, lancia l’allarme la Cgil, deve essere ancora in buona parte pagato e il peggio arriverà nei prossimi mesi. Secondo l’Ires, il centro studi del sinda­cato guidato da Guglielmo Epifani, in Italia an­dranno in fumo quasi 350mila posti di lavoro nel 2009. Altri 200mila spariranno l’anno pros­simo. Un’ecatombe che spingerebbe l’indice di disoccupazione prima al 9 e poi al 10%, per­centuali che non si vedevano più da parecchi anni: rispetto al 2007 ci sarebbero così circa un milione di disoccupati in più. Nello scenario a tinte fosche dipinto dalla C­gil l’economia italiana dovrà sopportare un calo del Pil pari al 4% nel triennio 2008-2010. L’anno in corso sarà il più duro di tutti, con la ricchezza nazionale in decremento di circa tre punti (dopo il -1% del 2008) e un avvio della ripresa solo a partire dalla metà del prossimo anno (che si chiuderebbe vicino allo zero). Sul piano dell’occupazione gli effetti più pe­santi, sempre secondo il sindacato, si faranno sentire sull’area del lavoro instabile, una pla­tea valutata in circa 3,4 milioni di persone (comprendendo contratti a termine, co.co.pro e i disoccupati da meno di un anno): un mon­do che la crisi po­trebbe allargare an­cora, anche perché quando le aziende ri­cominceranno ad as­sumere presumibil­mente si cauteleran­no con contratti a scadenza. A fronte dell’acuirsi della recessione la C­gil rilancia un intervento straordinario sugli ammortizzatori sociali, da finanziare, «dato che secondo il governo non ci sono altri sol­di », con un prelievo fiscale extra sui redditi più alti. L’organizzazione quantifica in circa 1,5 miliardi il gettito che sarebbe raccolto au­mentando (sulla falsariga di quanto propone il Pd) dal 43 al 48% l’aliquota più alta su chi guadagna ol­tre 150mila euro l’anno. Una cifra sufficiente a finanziare tre interventi: l’estensione dei requisiti per avere l’indennità di disoccupazione (oggi copre solo il 26% di chi perde il lavoro); il raddoppio della platea dei parasubordinati che otterranno il bonus pre­disposto dal governo e l’aumento dell’asse­gno (dal 20 al 40% del reddito); infine, l’incre­mento di circa 200 euro mensili della cassa in­tegrazione. La Cgil rilancia anche la polemica con il go­verno sull’entità delle risorse stanziate effet­tivamente contro la crisi giudicandole insuf­ficienti, in assonanza su questo punto con Confindustria. Secondo il presidente dell’Ires Agostino Megale, i fondi effettivamente spen­dibili arrivano a circa 4,5 miliardi compren­dendo il bonus per le famiglie e gli incentivi au­to. Quanto agli «otto miliardi in due anni per gli ammortizzatori sociali mancano il decreto attuativo e i protocolli d’intesa con le Regioni. Per ora sul fondo ci sono solo 130 milioni».