Economia

INTERVISTA. Fitoussi: «Lavoro problema europeo»

Da Parigi Daniele Zappalà giovedì 4 febbraio 2010
«Un aumento così forte e così rapido della disoccupazione è gravissimo. Se non verrà arginato al più presto, i rischi si estenderanno all’intera società». Dopo aver sfogliato gli ultimi dati sull’occupazione in Europa, Jean-Paul Fitoussi non ci tiene per nulla ad apparire rassicurante. Il celebre economista, alla guida dell’Ofce (Osservatorio francese delle congiunture economiche) chiede una regia unica sull’impiego nella zona euro.Professore, come reagisce a queste nuove cifre sulla disoccupazione in Europa?Sono fra coloro che pensano che la crisi è ancora davanti a noi, perché la disoccupazione continuerà a crescere. Per me è la vera spia della crisi. Crescerà in Italia, in Francia, in Germania, ma anche nel Regno Unito e negli Usa. Se non vogliamo che i Pil crollino, occorre che gli Stati si mantengano interventisti. Altrimenti, l’aggravamento della disoccupazione abbasserà il potere d’acquisto delle famiglie.Crede che i piani anticrisi in Europa abbiano finora trascurato il fattore occupazione?Non direi questo. Senza i piani, la situazione sarebbe stata peggiore. Ma il problema della disoccupazione è oggi il problema numero uno e non se ne parla ancora in questi termini. La disoccupazione oggi ha effetti diretti sui redditi delle famiglie, ma anche effetti indiretti sulla natura del lavoro, che diventa più precario. Ciò ha effetti distruttivi sulla società.C’è almeno uno Stato europeo che può fungere da modello positivo?Per il momento nessun Paese si stacca dal plotone.In Italia si è fatto ampio ricorso alla cassa integrazione. Che ne pensa?La cassa integrazione può essere una soluzione solo in caso di disoccupazione di corto periodo. Ma nessuna forma di misura sociale può resistere a una disoccupazione di massa. In quest’ultimo caso, esploderanno la cassa integrazione, così come i sistemi di protezione francese, tedesco e di ogni altro Paese. La disoccupazione significa che il Paese s’impoverisce e in tali condizioni non può permettersi di pagare a lungo per i disoccupati. Rassegnarsi alla disoccupazione è assolutamente impensabile.Quale strada dovrebbero imboccare gli Stati?Occorre concentrarsi sulla creazione d’impiego, perché non basta formare i disoccupati orientandoli su altri mestieri. Se l’impiego non c’è, non sarà questa formazione a crearlo. Occorre creare attività nei settori che hanno un avvenire, come quello delle energie rinnovabili e in generale delle tecnologie ambientali.Le pare dunque ragionevole l’idea di un grande "prestito d’avvenire", perseguita ad esempio in Francia?Certamente. Ma sarebbe stata la strada davvero più ragionevole se fosse stata perseguita su scala europea. Anche perché in un piano coordinato non si parlerebbe più di Paesi che sono buoni o cattivi allievi in termini di debito pubblico. Sarebbe il debito europeo ad aumentare.L’Europa avanza in ordine sparso?In ordine molto sparso e fa molto poco. Soprattutto a causa di un problema di organizzazione: l’assenza di governo economico dell’Europa. E anche col Trattato di Lisbona, che non tocca questioni di bilancio o di fiscalità, non vedo come la situazione potrebbe cambiare.Anche le esportazioni tedesche crollano. C’è un problema di competitività?Per nulla. Ma c’è un problema legato all’euro forte. Anche Mc Donald’s ha dovuto chiudere i propri ristoranti in Islanda perché la carne importata dalla Germania costava ormai troppo.Ci sono responsabilità anche a Francoforte?No, non si vede bene cosa la Bce potrebbe fare. Ma dovrebbero essere i governi a promuovere piani di rilancio più coraggiosi, obbligando così la Bce a prendere una direzione. Se non c’è nulla da finanziare, la Bce non può far nulla.Su quali pilastri appoggiare questi piani?Nella zona euro c’è tutto. Il capitale, l’intelligenza, il know how e qualsiasi altro fattore di produzione possibile. Potremmo avere la crescita che vorremmo, ma a condizione che la zona euro abbia un governo col coraggio d’investire. Senza questa capacità di governo, la crescita europea resterà inferiore a quella americana non solo nel 2010, ma anche in futuro.È d’accordo con chi intravede già una ripresa?Stiamo finendo di cadere e ci stiamo rimettendo in piedi. Ma solo per ritrovare il livello del 2008, occorreranno diversi anni. Per ora, mentre la gente perde il lavoro, mi pare molto sconveniente lanciare messaggi ottimistici.