Economia

L'approfondimento. L'auto detraibile, un affare per tutti

Alberto Caprotti giovedì 4 dicembre 2014

Qualche mese fa il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi – dimostrando un attivismo in tema di auto del tutto insolito per questo e i precedenti governi – dopo aver tentato far passare l’aumento del bollo in cambio della soppressione dell’Ipt, annunciò di avere nel mirino, insieme alla collega Federica Guidi (Sviluppo economico), un piano di defiscalizzazione, sul tipo di quello applicato all’edilizia, allo scopo di svecchiare e rilanciare il parco automobilistico italiano. Da allora nulla si è più saputo, ma il tema della detraibilità di parte dei costi dell’acquisto di un’autovettura resta assolutamente d’attualità. Almeno sino a quando qualcuno non riesca a spiegare perchè non vada in porto un provvedimento assolutamente vantaggioso per tutti, casse dello stato comprese.

Massimo Nordio, presidente dell’Unrae, l’associazione che rappresenta i marchi esteri in Italia, è tornato in queste ore a ribadire la necessità di un aiuto da parte del governo alle famiglie italiane che, a causa della crisi, hanno dovuto rinunciare all’acquisto dell’auto nuova ma che, non potendone fare a meno per gli spostamenti quotidiani, sono costretti a circolare con vetture vecchie, pericolose ed inquinanti. La detraibilità di parte dei costi d’acquisto dell’auto «potrebbe essere la versione 2.0 degli 80 euro di Renzi, cioè il proseguimento ideale del provvedimento sugli aiuti alle famiglie», spiega Nordio. Secondo i calcoli dell’Unrae, un piano quadriennale di deducibilità di una parte del costo di acquisto di una vettura creerebbe vendite aggiuntive per 300 mila unità e, solo nel primo anno, di 100 mila nuove auto. Cifra che porterebbe nel 2015 ad una crescita dell’8% del mercato, che passerebbe quindi dagli 1,4 milioni previsti a 1,5.

La ricetta proposta dalle case estere è semplice: dare la possibilità alle famiglie di detrarre dalla dichiarazione dei redditi il 10% del costo dell’acquisto di un’auto nuova con emissioni fino a 120 g/km di CO2, fino ad un massimo di 2.000 euro in 4 anni, e la contestuale rottamazione di un’auto Euro 0, 1 o 2. «Riteniamo che una simile manovra - ha precisato il presidente dell’Unrae - possa essere molto vantaggiosa anche per l’erario. A fronte di una copertura finanziaria di 64 milioni di euro nel primo anno, equivalenti al 5 per mille investito dallo Stato per le ristrutturazioni delle abitazioni nel 2013, stimiamo man mano un maggior gettito Iva capace di generare un flusso positivo di 22 milioni di euro in 4 anni».

Il piano Unrae permetterebbe anche di recuperare circa 1.000 addetti nei settori della distribuzione e dell’assistenza, mentre la conseguente riduzione di incidentalità legata al rinnovo del parco auto delle famiglie, porterebbe ad un minor costo sociale di oltre 77 milioni di euro. Inoltre la rottamazione delle auto più vecchie farebbe risparmiare circa 400 mila tonnellate di CO2 in 4 anni. L’età media delle auto sulle nostre strade oggi è di 9,5 anni: nel 2006 era di 7,5, pertanto in soli 7 anni si è incrementata di 2 anni. Lo svecchiamento dell’enorme parco circolante ante Euro 3 (circa 10 milioni di vetture, il 28% del totale in Italia) dovrebbe essere considerata un’emergenza. «Il rinnovo del parco porterebbe effetti benefici sulla sicurezza, anche in termini di costi sociali, e sull’ambiente. Quindi, merita un posto nell’Agenda del Paese», sottolinea Nordio. Per il presidente dell’Unrae, il tema «non è trovare le risorse ma decidere politicamente di redistribuirle, stabilendo una volta per tutte che l’auto è un settore cardine per l’Italia, che produce occupazione e ricchezza, e prevedendo misure che invertano il trend di 3,9 punti di contributo al Pil persi in 5 anni».

A supporto della proposta, una recente ricerca del Censis giunge alle stesse conclusioni: l’urgenza cioè di rinnovare il parco circolante italiano, che è uno dei più vecchi d’Europa ed emette ogni anno circa 22,5 milioni di tonnellate di CO2. Con la rottamazione a favore di modelli più moderni ed ecologici, spiega il Censis, le emissioni si ridurrebbero di 12,2 milioni di tonnellate. Inoltre auto nuove e più sicure determinerebbero una riduzione della mortalità per incidenti stradali del 7,8% circa.

Ma non è questo l’unico “affare per tutti” relativo al mercato della mobilità che giace inspiegabilmente arenato nei cassetti del governo. Dopo essere stato approvato mesi fa in Commissione Finanze infatti, si è poi fermato in Commissione Bilancio anche il “Pacchetto Auto” proposto da Daniele Capezzone, presidente della Commissione Finanze della Camera. Un progetto articolato in tre punti: tre anni di esenzione dal bollo per le auto nuove, abolizione dell’Ipt e innalzamento, dal 20% al 40%, della deducibilità dei costi delle auto aziendali, quelle che oggi, nonostante tutto, trainano la ripresa. In sintesi, con la proposta Capezzone, chi acquista un’auto nuova non pagherebbe il bollo per ben tre anni (addirittura per 5 anni, in caso di auto “verde”). Trascorso questo tempo, varrà la logica del “più inquini, più paghi”, con una tassa commisurata alle emissioni. In più, in questo secondo caso solo per i veicoli ecologici, si fa salire al 40% il livello di deducibilità per le auto aziendali. Tutte misure che possono dare ossigeno al settore, ben più concrete dei tanti inutili “tavoli” che fino a oggi sono stati organizzati sui problemi dell’automobile.

Il provvedimento, peraltro in grado di generare cassa per lo Stato (grazie all’aumento delle vendite e quindi all’aumento del gettito Iva), sarebbe comunque coperto, «anzi copertissimo», a detta di Capezzone «avendo peraltro io fornito al Governo non una, ma diverse ipotesi di copertura». L’abolizione del bollo è solo una goccia di sollievo rispetto al mare delle vessazioni a cui l’automobilista è sottoposto. Ma sarebbe un segnale confortante in un sistema che da troppi anni punisce il contribuente automobilista e un settore fondamentale per l’economia del Paese. Che - tanto per rendere l’idea -  nel 2013 ha versato nella casse del Fisco 70,5 miliardi di tasse, il 6,3% in più in cinque anni, a fronte però di un mercato che contemporaneamente è crollato del 40%.