Economia

Etno-business. La spesa degli immigrati vale 25 miliardi

Pietro Saccò giovedì 4 febbraio 2010
Roma, Ipercoop di via Casilina. In questo centro commerciale alla periferia della Capitale, tra gli scaffali con la porchetta d’Ariccia e il vino dei Castelli, sabato spunterà il primo Halal corner dei supermercati d’Italia. Un banco dedicato esclusivamente ai prodotti alimentari conformi alla legge islamica, cibo halal, appunto, parola che in arabo significa «consentito, ammesso, lecito». Niente carne di maiale, ma agnelli, polli e vitelli uccisi per sgozzamento da un musulmano adulto secondo una modalità che l’islam ha derivato dalla cultura ebraica. È l’unica carne che a un musulmano osservante è permesso mangiare, e il corner è l’ultimo passo della Coop verso la conquista del mercato dei consumi "stranieri" in Italia. Un mercato già grande, e destinato a crescere.Su 60 milioni di persone che abitano in Italia, 4,3 milioni sono immigrati. Persone che non guadagnano molto – meno di 1.250 euro al mese nel 72% dei casi, calcola la Fondazione Ismu – ma comunque compra. Tolte le rimesse (gli stranieri mandano ai parenti rimasti in patria circa il 10% del loro reddito) e le spese per la casa, che portano via in media un altro 40% dello stipendio, l’immigrato spende in Italia quasi la metà dei soldi che guadagna. Gli acquisti degli stranieri, dice il Censis, ammontano a 25 miliardi di euro l’anno, il 3% dei consumi delle famiglie italiane. La fetta è ancora piccola ma non trascurabile, e tra le grandi aziende si è aperta la "caccia" all’immigrato consumatore.Hanno iniziato le compagnie telefoniche. I manifesti in arabo, in romeno o in albanese che promuovono piani tariffari a noi del tutto incomprensibili sono ormai diffusi nelle strade delle città italiane. Parlare con i parenti e gli amici lontani è una delle prime esigenze di chi è emigrato in Italia, e il telefonino, per gli stranieri, rappresenta l’emancipazione da uno dei luoghi-simbolo delle prime settimane italiane, il call center. Wind era stata la prima ad accorgersene, con il programma "Call your Country" lanciato nel 2002. Tim, Vodafone e 3 Italia hanno seguito a ruota con nuove tariffe destinate agli stranieri. Dopodiché è venuto il turno degli operatori virtuali, come quello delle Poste o, di nuovo, della Coop.Non stupisce l’attivismo dei supermercati cooperativi. La spesa alimentare è chiaramente la priorità nei conti degli immigrati. Senza arrivare ad aprire un "corner" apposito hanno messo prodotti halal sugli scaffali anche le catene francesi Auchan e Carrefour e quasi tutti i discount. Non l’Esselunga, che però «continua a seguire l’evoluzione di questo mercato». Federalimentare nel 2008 ha fatto una stima: la spesa alimentare degli stranieri vale 5 miliardi di euro l’anno, poco più del 4% del fatturato complessivo che la grande distribuzione organizzata ha fatto in Italia nel 2008. Per le nostri grande catene è una sfida difficile. Soprattutto perché c’è la concorrenza dei negozi aperti dagli stessi immigrati, spacci dagli orari allargati che si stanno moltiplicando nelle città del Nord (a Milano sono "straniere" il 13% delle botteghe alimentari e il 15,5% delle macellerie) e che, per i loro prezzi bassi e l’offerta multietnica, stanno conquistando anche molti italiani. Ma anche perché, date le disponibilità economiche ridotte, gli stranieri si rivolgono preferibilmente ai discount (nel 55% dei casi, secondo un’indagine commissionata dal ministero degli Interni nel 2007) che consentono di risparmiare.Poi c’è il problema dei prodotti, una questione in cui la necessità di un marchio halal per gli immigrati musulmani è solo un aspetto (gli stranieri di fede islamica sono solo un terzo del totale). Il consumatore immigrato compra senza problemi anche il cibo italiano, che spesso gli serve per creativi piatti "meticci". Però ha anche bisogno di ritrovare i sapori di casa. Quello del riso è un esempio efficace. Tra le comunità straniere il riso è spesso il piatto di riferimento, sia come primo sia come contorno. Nel mercato italiano del riso gli immigrati hanno una fetta importante (il 12%), e con le loro 38mila tonnellate consumate ogni anno hanno costretto le aziende produttrici a segmentare l’offerta a seconda della provenienza della clientela: basmati per indiani e mediorientali, riso aromatizzato per i cinesi, tondo per i nordafricani.Dopo il telefono e la spesa vengono le banche. Gli istituti di credito hanno messo gli occhi da qualche anno sul mondo degli immigrati. Nel 2005 i conti correnti degli immigrati erano circa 1 milione, due anni dopo sono aumentati fino a sfiorare il milione e mezzo. Secondo le previsioni dell’Associazione bancaria italiana è "bancarizzato" il 70% degli stranieri e il numero dei loro conti è destinato a salire fino a quota 3 milioni entro il 2015. Capitalia, Cariparma, la Bpm e la Popolare di Verona hanno lanciato prodotti finanziari specifici rivolti ai clienti stranieri. Anche mutui dato che, fino al 2007, sono stati gli immigrati a sostenere la crescita del mercato immobiliare italiano di fascia bassa. Una tendenza che si è esaurita con la crisi. Dai primi mesi successivi all’implosione di Lehman Brothers le banche hanno stretto i rubinetti del credito e gli stranieri sono stati i primi a soffrirne. Gli acquisti di casa da parte degli immigrati, nel 2008, sono crollate del 23,7% a 90mila compravendite.