Economia

La riforma. L’abc della riforma sul non profit

LUCA MAZZA venerdì 1 aprile 2016
Il "mondo di mezzo" ora può contare su un unico quadro giuridico. Quel contenitore enorme e variegato che si colloca tra lo Stato e il for profit puro – formato, per intendersi, dalle associazioni senza scopo di lucro, dalle cooperative, dalle imprese sociali o dagli enti attivi nel volontariato – adesso diventa organico, organizzato, definito. Il ddl approvato due giorni fa dall’Aula del Senato, che dovrebbe essere varato definitivamente entro maggio con il via libera della Camera, regola in modo uniforme le diverse anime di un solo corpo. IL SI' DEL SENATO ALLA RIFORMA E allo stesso tempo punta a sostenere uno dei fenomeni di maggior rilievo cresciuto in modo prepotente e spontaneo nel nostro Paese negli ultimi anni: il Terzo settore, appunto. Nasceranno nuovi organismi (dal registro unico al consiglio nazionale del Terzo settore) e si cercherà di allargare il pe- rimetro di fare impresa in modo differente senza però snaturare valori e obiettivi di questo ecosistema. Poi tante altre novità: a partire proprio dalle definizioni precise di Terzo settore e di impresa sociale. Specifiche fortemente volute dalla maggioranza e dal governo per non lasciare adito a incomprensioni, fraintendimenti e – in particolare – per porre argini efficaci a intrusioni velenose in un ambiente sano come quello del Non profit. L’iter del provvedimento è stato piuttosto articolato, anche perché la legge delega di riforma interviene in modo strutturale su un settore che coinvolge indicativamente 5 milioni di volontari ed oltre 300mila organizzazioni non profit, le quali hanno generato - nel solo 2011 (ultimo dato aggiornato) - un volume di entrate di circa 64 miliardi di euro. Vediamo nel dettaglio le principali innovazioni e i punti chiave della misura. Tanti singoli dentro una sola famiglia.  I vari 'nomi' del Non profit, pur mantenendo la loro specificità, avranno lo stesso 'cognome'. La riforma intende per Terzo settore «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento (senza scopo di lucro) di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che – in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi – promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi». Obiettivo semplificare.  Lo scopo dei decreti del governo sarà una drastica semplificazione, cominciando da una definizione civilista uniforme fino a un disboscamento delle tante norme in materia fiscale che si sono moltiplicate nel corso degli ultimi anni. Con la scelta di prevedere vantaggi fiscali solamente per alcune realtà giudicate meritevoli. Le aree di attività. Al governo è affidato il compito di individuare quei campi di attività di interesse generale che caratterizzano gli enti del Terzo settore. Ci sarà anche un meccanismo di aggiornamento costante dei settori in si potrà operare. Oltre al welfare, ovviamente, si pensa a microcredito, rinnovabili, cultura, sport, mobilità, agricoltura sociale... Consiglio nazionale e registro unico per il Terzo settore.  Ci sarà l’istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, presentato come «organismo unitario di consultazione degli enti a livello nazionale». Per riorganizzare il sistema di registrazione degli enti e di tutti gli atti di gestione rilevanti, il governo si impegna a dar vita a un registro unico nazionale. Sarà suddiviso in specifiche sezioni, che verranno istituite dal ministero del Lavoro. La Fondazione Italia sociale.  La struttura parte con un contributo pubblico di un milione di euro, ma avrà lo scopo di sostenere la realizzazione e lo sviluppo di progetti innovativi mediante l’apporto di adeguate risorse finanziarie (che dovrebbero arrivare soprattutto dai privati). In altre parole: è pensata per essere un magnete di investimenti. La 'nuova' impresa sociale.  È prevista una revisione delle norme per facilitare e sostenere - secondo la visione del governo - una nuova imprenditoria sociale che si accompagni a quella esistente, prevalentemente di natura cooperativa. Magari anche creando un ponte con la finanza sociale. L’impresa sociale rientra nel complesso degli enti del Terzo settore ed è definita come «organizzazione privata che svolge attività d’impresa per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che destina i propri utili prioritariamente allo svolgimento delle attività statutarie adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti, e favorendo il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività». Ci saranno limiti stringenti riguardo alla remunerazione del capitale, la cui soglia coincide con quella prevista per le cooperative a mutualità prevalente. Per le fondazioni, criteri ancora più rigidi: 100% degli utili non potrà essere distribuito. Volontariato e centri di servizio.  Verrà rivista la disciplina in materia di attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso. Parallelamente si è programmata una valorizzazione per le organizzazioni di questo ambito: in particolare nei decreti delegati andranno valorizzati i princìpi di gratuità, democraticità e partecipazione, e andrà favorita «la specificità delle organizzazioni di soli volontari ». Nel testo, infine, si ridefiniscono i Centri di servizio per il volontariato, per la cui costituzione concorreranno pure i soggetti del Terzo settore.