Economia

Donazioni. Caso Ferragni, parla l'esperto: una lezione per chi fa marketing col sociale

Massimo Calvi mercoledì 20 dicembre 2023

Chiara Ferragni nel video in cui chiede scusa per la vicenda dei pandoro Balocco

«Per prima cosa dico che non va messa in croce la persona se ci sono stati degli errori nella vicenda dei pandori Balocco griffati da Chiara Ferragni. La realtà è che non si trattava di beneficenza, ma di un’operazione commerciale. Il problema nasce da qui. Piuttosto mi chiedo come sia possibile che imprese così importanti non abbiano manager competenti per relazionarsi con il sociale. In vicende di questo tipo è tutto il non profit a pagarne le conseguenze».

A parlare è Valerio Melandri, docente al Master del Fundraising dell’Università di Bologna e fondatore del festival del Fundraising, evento clou per chi si occupa di raccolte fondi e marketing legato alle cause sociali, la cui 17esima edizione si terrà dal 3 al 5 giugno 2024 a Riccione. Il fatto è noto: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sanzionato due aziende che fanno capo a Chiara Ferragni e la Balocco per aver messo in vendita un pandoro con prezzo maggiorato, griffato dall’influencer (alla quale era stato pagato un lauto compenso) lasciando intendere che parte dei proventi sarebbero stati destinati all’ospedale dei bambini di Torino, il Regina Margherita, in realtà solo beneficiario di una donazione precedente. Dopo le scuse di Ferragni, con la promessa della devoluzione dell’intero importo del cachet, circa un milione di euro, è emerso un caso abbastanza simile legato alla vendita di un uovo di Pasqua.

Dal punto di vista del marketing, cosa insegna questa vicenda?

Il tema è quello della disintermediazione in atto nell’economia mondiale e anche nel settore del non profit e nella beneficenza. Pensiamo a quanto avviene con Amazon per lo shopping, con Booking.com per il turismo, o con Airbnb per gli affitti delle case. La stessa cosa riguarda il sociale: oggi moltissime raccolte fondi sono organizzate direttamente in rete da persone note o altri soggetti. La disintermediazione riduce i costi e può portare maggiore efficienza. Nel caso del non profit, tuttavia, i costi intermedi sono un valore aggiunto, proprio in termini di competenze. Un’organizzazione seria del Terzo settore ha la responsabilità di verificare e vigilare sugli accordi commerciali stipulati con un’azienda.

In questo caso Ferragni è testimonial, ma allo stesso tempo un’impresa…

Va detto che Ferragni, con Fedez, ha impresso una svolta significativa al mondo del fundraising, se pensiamo che ai tempi del Covid sono riusciti a raccogliere 4,5 milioni, realizzando di fatto una delle prima dieci campagne di raccolta fondi d’Europa, e la prima in Italia. Un lavoro perfetto. Nel caso dei panettoni e delle uova di Pasqua, invece, il piano è esclusivamente commerciale, non si tratta di beneficenza: Ferragni ha venduto la sua immagine per marketing, non per un’operazione di marketing legato a una causa sociale.

In che senso?

Le classiche operazioni di cause related marketing, dalla pizza venduta per salvare Venezia alla Golia Bianca con il Wwf per gli orsi polari, hanno sempre indicato in modo trasparente che a ogni prodotto venduto corrispondeva una donazione di importo ben definito. Ci sono regole molto precise da rispettare.

Quali?

Innanzitutto il testimonial non deve essere pagato. Poi, chi offre il proprio volto deve avere anche lo stesso “tono di voce” dell’ente a quale si lega, ci deve cioè essere sintonia. Se pensiamo a figure come Pippo Baudo, Giobbe Covatta, Fiorello, Renzo Arbore… è sempre stato così. Infine la chiarezza e la trasparenza su quanto viene donato, a chi, e come. Ma, come ho detto, il caso che ha visto protagonista Ferragni è un’operazione commerciale impropriamente presentata come causa sociale. L’errore è stato questo.

Vicende di questo tipo possono produrre danni reputazionali?

È evidente che la confusione tra pratica commerciale e iniziativa sociale possa diventare un boomerang. Ma se nel mercato un’azienda subisce un danno di reputazione per una pratica scorretta, le quote di mercato che perde vanno a vantaggio di un’altra. Il danno, cioè, resta limitato a chi ha commesso l’errore. Nel non profit se uno si comporta male o non vigila abbastanza, a pagare è tutto il settore. È un po’ come in politica: se un politico ruba, la gente arriva a pensare che i politici siano tutti ladri. Per questo occorre preparazione e competenza. Mi chiedo come sia possibile che aziende così strutturate e di questo livello, come quelle che fanno capo a Chiara Ferragni, o la Balocco, non abbiano manager esperti di marketing sociale. In Italia ci sono diecimila professionisti esperti di raccolta fondi. Mi auguro che questa vicenda aiuti ad acquisire una nuova consapevolezza.

Come può tutelarsi il mondo che vive di donazioni?

Purtroppo questo non è un caso isolato, ma solo un caso eclatante. Il fenomeno della disintermediazione nel mondo delle donazioni può essere positivo, ma serve attenzione quando un ente non profit è scelto solo con l’obiettivo di fare soldi, cosa che purtroppo avviene molto spesso. Servirebbe un manuale per imparare a donare bene, fissando alcune regole. Ad esempio: donare meno per le emergenze, ma di più alle realtà che intervengono negli ambiti del bisogno in modo strutturale. Poi ci si dovrebbe preoccupare meno di quanto va in beneficenza rispetto ai costi interni dell’organizzazione, perché spesso le spese maggiori sono un valore e una garanzia di competenza. Ancora: scegliere con cura la causa che si decide di sostenere, e costruire un rapporto duraturo.

Chiara Ferragni testimonial del pandoro Balocco - Ansa