Economia

Inchiesta. Ecco chi piange per la crisi dei giornali

Luca Mazza giovedì 25 giugno 2015
Se la carta stampata piange, la sua filiera non ride. Il costante e progressivo calo della distribuzione dei quotidiani – visto che oggi la media giornaliera si attesta a 3,2 milioni di copie, mentre dieci anni fa era circa il 40% in più –, ha avuto pesanti conseguenze anche sul relativo 'indotto'. Quei comparti per cui le testate nazionali e locali hanno sempre rappresentato una fetta consistente del business, infatti, hanno pagato a caro prezzo la notevole diminuzione del numero di lettori. Dall’industria della carta, passando per gli stampatori, finendo con gli edicolanti: il connubio tra la crisi economica globale e quella specifica del settore non ha risparmiato proprio nessuno.  «Nelle carte grafiche, che comprendono anche le riviste e i quotidiani, dal 2008 a oggi la produzione si è ridotta del 40%», evidenzia Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta. Su un dato così allarmante, oltre che il calo delle vendite di copie cartacee (spiegabile anche con la chiusura di alcune aziende editoriali) e la crescita del digitale, «pesano pure i costi dell’energia, che in Italia sono molto più elevati rispetto ad altri Paesi europei come Germania e Francia». Secondo Medugno, la ricetta per dare ossigeno al settore non può che essere culturale: «Da mesi stiamo chiedendo di mettere in campo un incentivo per incoraggiare le ultime generazioni alla lettura. La nostra idea, condivisa da altre otto associazioni della filiera, è quella di istituire un bonus di 100 euro l’anno per libri e giornali da destinare a cinque milioni di giovani tra i 18 e i 25 anni». Oggi, sottolineano da Assocarta, sono previste detrazioni per l’acquisto di prodotti e servizi tecnologici. «Eppure la carta resta lo strumento più adatto per un’informazione che non sia 'mordi e fuggi' ma approfondita – conclude Medugno –. Per cui occorre rilanciare i consumi culturali tramite un’opportuna politica fiscale».  Un’azione di sostegno alla domanda viene caldeggiata anche dall’Asig (Associazione degli stampatori dei giornali). «Siamo consapevoli che non esiste la bacchetta magica, ma bisogna introdurre una serie di soluzioni per tamponare questa crisi», afferma il direttore Salvatore Curiale. Del resto, anche gli stampatori, negli ultimi anni, hanno avuto ricadute pesanti in termini di chiusure di aziende, di calo dell’occupazione  e di abbassamento dei livelli retributivi degli addetti. «Le società stampatrici totalmente autonome, cioè quelle non collegate a un editore, soffrono di più perché non possono contare su un prodotto principale 'sicuro'. E queste ultime rappresentano il 30% del mercato. I dipendenti, a fronte della penuria di commesse, hanno visto scendere la propria retribuzione del 20% in pochi anni».  Il calo di occupati nella filiera, comunque, è cominciato con largo anticipo rispetto alla crisi. «Basti pensare che, nel 1995, nelle aziende c’erano 10mila poligrafici, mentre adesso siamo a poco più di 4mila», rimarca Curiale. A ciò si aggiunge la situazione difficile del fondo integrativo di settore, a cui si è obbligati a iscriversi: «A fronte di 4.100 lavoratori attivi ci sono ben 16mila pensionati. Il rapporto è di uno a quattro».  L’ultimo anello della catena è rappresentato dalle edicole. E anche in questo caso si versano lacrime amare. «La discesa dei ricavi su quotidiani, settimanali e mensili è iniziata già 15 anni fa – spiega Ermanno Anselmi, coordinatore nazionale della Fenagi (la Federazione nazionale giornalai aderente a Confesercenti) –. Ma se fino al 2009 siamo riusciti a compensare l’emorragia di copie con gli allegati (dai cd ai libri tascabili), successivamente non è stato più così». La rete di vendita oggi conta appena 30mila unità. E il numero comprende tutte le tabaccherie, le cartolerie, i supermercati e gli autogrill in cui è possibile acquistare prodotti editoriali. «I punti vendita tradizionali, cioè i classici chioschi con i giornali presenti soprattutto nelle città, si sono quasi dimezzati», rivela Anselmi. Ora, per salvare le 18mila edicole 'pure' rimaste, «è indispensabile poter contare su una maggiore flessibilità di commercializzazione per i prodotti editoriali non giornalistici, su cui andrebbe tolto l’obbligo di parità di trattamento». Le proposte di Fenagi, Assocarta e Asig sono state presentate al tavolo dell’editoria convocato nei mesi scorsi dal governo. Il sottosegretario Luca Lotti ha promesso un iter rapido, che dovrebbe portare all’approvazione di una riforma del settore entro la fine dell’estate.