Economia

Fondazione Moressa. Gli italiani? Meno "choosy" In fila per ottenere lavori meno qualificati

Matteo Marcelli venerdì 23 agosto 2013
Spesso, e da anni ormai, si parla dei lavoratori immigrati come una risorsa imprescindibile per l’economia italiana. E il motivo starebbe nella loro maggior propensione a svolgere lavori di bassa manovalanza o almeno non altamente qualificati. Insomma tutta quella serie di mansioni che gli italiani tenderebbero a snobbare, forse perché troppo “choosy” – schizzinosi – per svolgerle. Ma con buona pace dell’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero (che con quel termine anglosassone aveva qualificato i giovani disoccupati italiani), questi sono tempi di crisi, e cioè tempi destinati a rovesciare dinamiche e punti di vista considerati, fino a qualche anno fa, dati di fatto.A sfatare quello che è diventato un luogo comune ci ha pensato uno studio della Fondazione Leone Moressa di Mestre. Gli stranieri, questa è la tesi, non sarebbero più indispensabili alla piccola impresa italiana. «Abbiamo svolto un’indagine su mille aziende italiane con meno di venti addetti – spiega Valeria Benvenuti, ricercatrice della fondazione – La principale ragione che spinge ad assumere addetti stranieri è ancora la loro disponibilità a svolgere mansioni meno qualificate ma per la prima volta è emerso che nell’eventualità di un abbandono del nostro territorio da parte di questi lavoratori, gli imprenditori non avrebbero alcuna difficoltà a rimediare». La stragrande maggioranza degli intervistati ha potuto verificare un aumento vertiginoso di richieste di assunzioni da parte di italiani. E per tutti quei lavori per cui prima era necessario rivolgersi altrove, basterebbe attingere dagli innumerevoli curricula che ogni giorno arrivano sulle scrivanie delle amministrazioni delle piccole imprese Italiane.«Certo la crisi occupazionale esiste – continua Benvenuti – come esiste il calo della domanda e le aziende continuano a servirsi di immigrati». Che infatti hanno visto un calo d’occupazione ancora inferiore alla media totale: -0,6% contro il -1,1% (a mostrare la flessione più evidente è l’edilizia, -1,5%, mentre c’è un comparto, quello dei servizi alla persona, che ha visto addirittura un aumento, + 0,5%). E però a domanda precisa sull’eventualità di un calo della presenza di manodopera straniera gli imprenditori non hanno dubbi: non ci sarebbero problemi e il motivo è nelle dimensioni spaventose del bacino di disoccupati nostrani.Da notare inoltre che per il 94% degli intervistati i lavoratori stranieri non manifestano la volontà di lasciare il proprio lavoro. E ciò è comprensibile visto che il 70,9% di loro è assunto con un contratto a tempo indeterminato, cosa che certifica una volta di più che la piccola impresa può essere uno strumento efficace di integrazione. «Abbiamo cercato anche di evidenziare questo aspetto – dice ancora Benvenuti – la piccola impresa continua a rappresentare una forte spinta verso l’integrazione per chi vuole trasferirsi in Italia, lavorare qui e portare la propria famiglia», considerando anche che il 90% degli imprenditori richiede la conoscenza della lingua italiana. Tutto questo non significa però che le cose potrebbero cambiare. E inoltre «non è da sottovalutare il fenomeno dei ritorni che ha spinto un discreto numero di lavoratori stranieri a tornare nel proprio Paese». Occasione in più per i disoccupati italiani di rivedere le proprie priorità.