Economia

Non profit. In Italia 350mila istituzioni attive e 845mila dipendenti

Cinzia Arena venerdì 11 ottobre 2019

Una giovane volontaria aiuta gli immigrati nel centro accoglienza della parrocchia di Tavarnuzze, Firenze (Ansa)

L’Italia dei professionisti del bene continua a crescere. Il censimento Istat sulle istituzioni non profit, relativo all’anno 2017, evidenzia un tasso di crescita superiore a quello delle imprese orientate al mercato. In Italia ci sono più di 350mila realtà, il 2,2% in più rispetto al 2016, che impiegano quasi 845mila dipendenti (+3,9% nel 2017 rispetto all’anno precedente). Di conseguenza, aumenta la rilevanza del non profit nel sistema produttivo italiano che passa dal 5,8% del 2001 all’8% del 2017 per numero di unità e dal 4,8% del 2001 al 7% del 2017 per numero di dipendenti. I settori cultura, sport e ricreazione raccolgono quasi due terzi del totale (64,5%), seguiti da assistenza sociale e protezione civile (9,2%).

Rispetto al 2016, la crescita del numero di istituzioni risulta più sostenuta al Sud (+3,1%), nel Nord-Ovest (+2,4%) e al Centro (+2,3%). Le regioni più dinamiche sono Campania e Molise, in flessione invece Sardegna e Puglia. Nonostante la dinamica più sostenuta del Sud, la localizzazione delle istituzioni non profit si conferma molto concentrata sul territorio, con oltre il 50% attive nelle regioni del Nord, contro il 26,7% dell’Italia meridionale e insulare. Il numero di istituzioni non profit ogni 10mila abitanti è un indicatore che misura la rilevanza del settore non profit a livello territoriale: al Centro-nord tale rapporto assume valori superiori a 60 (in particolare al Nord-est, dove raggiunge il livello di 69,2), nelle Isole e al Sud è pari rispettivamente a 48,3 e 43,7.

Più della metà dei lavoratori dipendenti è nei settori dell’assistenza sociale (36,9%) e della sanità (21,9%), seguiti da quelli dell’istruzione e ricerca (14,9%) e dello sviluppo economico e coesione sociale (11,7%). Rispetto al 2016, i dipendenti crescono in misura relativamente maggiore nei settori della cultura, sport e ricreazione (+16,1%) e della religione (+12,0%). Il ricorso al personale dipendente è maggiore in alcuni settori d’attività: se nel complesso l’85% delle istituzioni non profit opera senza dipendenti, nei settori dell’istruzione e ricerca e dello sviluppo economico e coesione sociale le percentuali si attestano rispettivamente al 41,6% e al 26,8%. In questi settori più di un’istituzione su cinque impiega almeno dieci lavoratori, quota che rimane il 10% anche nei settori della sanità (15,0%) e dell’assistenza sociale e protezione civile (11,9%). Al contrario nei settori della cultura, sport e ricreazione, della filantropia e promozione del volontariato e dell’ambiente oltre il 90% delle istituzioni opera senza impiegare personale dipendente. I lavoratori dipendenti impiegati dalle istituzioni non profit crescono di più al Centro (+5,3%) e nel Nord-est (+5,0%) mentre mostrano una lieve flessione nelle Isole (-1,2%). Nel complesso, i dipendenti delle istituzioni non profit risultano ancora più concentrati delle istituzioni non profit dal punto di vista territoriale, con oltre il 57% impiegato al Nord.

I settori cultura, sport e ricreazione raccolgono quasi due terzi delle unità (64,5%), seguito da assistenza sociale e protezione civile (9,2%).

Rispetto al 2016, le istituzioni non profit aumentano per tutte le forme giuridiche, in misura più accentuata per le associazioni (+2%) e con l’eccezione delle fondazioni, in lieve diminuzione (-0,9%). L’associazione è la forma giuridica che raccoglie la quota maggiore di istituzioni (85,1%), molto staccate ci sono poi le cooperative sociali (4,5%) e le fondazioni (2,1%). I dipendenti aumentano in misura maggiore nelle associazioni (+9,3%) e nelle fondazioni (+3,8%). La distribuzione dei dipendenti per forma giuridica resta piuttosto concentrata, con il 52,2% impiegato dalle cooperative sociali. Le cooperative sociali sono sottoposte all’obbligo della presentazione della dichiarazione Iva in riferimento all’attività istituzionale; pertanto, è possibile classificarle in base al volume d’affari. Circa due terzi delle cooperative sociali operanti al Sud presenta un volume d’affari fino a 199 mila euro mentre quelle residenti nelle regioni del Nord-ovest e del Nord-est si caratterizzano per volumi di affari più elevati: le cooperative con un volume d’affari non inferiore a 500 mila euro sono rispettivamente il 42,8% e il 42,5%. Riguardo all’attività economica prevalente, le cooperative sociali con volumi d’affari inferiori a 200 mila euro si concentrano nei settori dell’istruzione e ricerca r dello sviluppo economico, quelle con un volume d’affari di 500 mila euro e oltre sono relativamente più presenti nel settore della sanità e, in misura minore, in quello dell’assistenza sociale.