Economia

IL FUTURO DEL SOCIALE. «Un'imposta sulla ricchezza per creare lavoro nel sociale»

Francesco Riccardi venerdì 12 luglio 2013
«Creiamo un fondo pubblico autonomo, con una dotazione significativa, per stimolare la nascita di nuove opportunità di lavoro nelle imprese sociali in settori strategici per il Paese. Un fondo finanziato con un’imposta patrimoniale sulla sola ricchezza finanziaria privata». La proposta, più di una semplice provocazione, arriva non da un politico di sinistra, ma da un imprenditore-finanziere e imprenditore sociale allo stesso tempo come Vincenzo Manes. Presidente della Intek group – che a sua volta controlla la Kme, leader mondiale delle lavorazioni in rame, 13 stabilimenti tra Italia, Europa e Cina, con 6mila dipendenti – e, contemporaneamente, presidente della Fondazione Dynamo camp, il primo campo di terapia ricreativa in Italia, che offre vacanze gratuite a bambini con gravi patologie.La riflessione di Manes parte dalla previsione «realistica» che la ripresa, anche quando finalmente si affaccerà in Italia, non porterà benefici significativi in termini occupazionali: «La perdita di lavoro che abbiamo subìto è strutturale. E, purtroppo, il futuro del nostro Paese non è quello della crescita nell’industria manifatturiera. I settori dai quali siamo usciti sono persi per sempre. Negli altri, a parte alcune eccellenze, sarà già positivo mantenere le posizioni attuali». La crescita reale, la nuova occupazione, un ritrovato benessere, insomma, possono emergere solo da altri segmenti, «quelli nei quali abbiamo asset irriproducibili altrove: penso al turismo, al nostro patrimonio artistico, ai beni ambientali e più in genere le attività ad alto rilievo sociale». Le manovre di stimolo che il governo sta (faticosamente) mettendo in campo rischiano di essere solo pannicelli caldi, in assenza di ingenti iniezioni di liquidità, come avvenuto negli Usa, in Giappone. «Tutt’al più si riuscirà a fermare la decrescita, ma questo non basta a riprendersi davvero – aggiunge Manes –. Dobbiamo farcela da soli. Per questo propongo un’imposta straordinaria sulla ricchezza finanziaria privata, in grado di rilanciare l’occupazione e l’innovazione nel nostro Paese. Potremmo chiamarlo "Progetto Italia"». Manes, seduto al tavolo in vetro nella sede della Intek, di fronte al Piccolo Teatro di Milano, fa due conti rapidi: «In Italia il patrimonio finanziario dei privati è di oltre 3.000 miliardi di euro. Se applicassimo un’imposta dell’1% saremmo in grado di raccogliere una massa di 30 miliardi da investire. Cifra da far confluire in un fondo, autonomo rispetto al calderone del bilancio dello Stato, guidato da una struttura leggera, in grado di selezionare i progetti migliori da sostenere. Se pensiamo a un salario medio per addetto di 15-20mila euro l’anno si potrebbe favorire la creazione di 1 o addirittura 1,5 milioni di posti di lavoro, dopo aver coperto le spese per la creazione delle imprese sociali».Perché non si tratta di creare nuovi carrozzoni di Stato, ma di far leva sulla motivazione, sulla partecipazione dei lavoratori – giovani ma non solo – alle attività con spiccata valenza sociale. Cooperative, associazioni non profit, onlus, le forme per operare possono essere varie, ma deve essere chiara la capacità di "stare sul mercato". «Da tempo si è dimostrata l’efficacia dell’impresa sociale anche come modello di business e i dati dell’Istat lo confermano, così come le esperienze all’estero: dalla Big society inglese alle Rescue company create da ex-dipendenti, fino alle imprese profit che destinano però tutto l’utile a fini sociali», spiega ancora il presidente della Fondazione Dynamo camp.La difficoltà, piuttosto, resta quella di "far digerire" una nuova tassa, "straordinaria" sì, ma fino a quando? «Si tratta di comprendere che sarebbe una imposta non sulla ricchezza, ma per la ricchezza, oltre che per il lavoro e lo sviluppo – risponde Manes –. Diciamolo francamente: la situazione attuale di recessione e così alta disoccupazione non è sopportabile a lungo dal Paese. E anche chi possiede dei patrimoni, in realtà, subisce la loro erosione ben oltre quell’1% ipotizzato come imposta, sia in termini quantitativi sia qualitativi. Al contrario, un investimento così significativo è in grado di rimettere in circolo ricchezza e valore aggiunto per tutti. Potrebbero bastare 5 anni di imposta, poi attraverso l’utilizzo di fondi europei, delle Fondazioni bancarie, e il ritorno da parte delle singole realtà, il sistema potrebbe autoalimentarsi». Parola di imprenditore. E imprenditore sociale.