Economia

IL SINDACALISTA. «Garanzie per Melfi e Cassino La produttività? E' già cresciuta»

Diego Motta martedì 18 settembre 2012
​«Noi non rinneghiamo la strategia degli accordi. Anzi, siamo pronti a farne altri, a partire dagli stabilimenti di Melfi e Cassino». A chi sostiene in queste ore che la retromarcia di Marchionne sul piano Fabbrica Italia segni anche la sconfitta dei sindacati che si sono seduti al tavolo con lui, il segretario nazionale della Fim Cisl, Ferdinando Uliano, risponde netto: «Forse qualcuno dimentica che quelle intese hanno portato agli investimenti nelle fabbriche. Pomigliano stava per chiudere e oggi ha ripreso a produrre, con standard riconosciuti a livello europeo».Fiom vi accusa di non aver capito che il piano del Lingotto era impraticabile...Al momento della presentazione di Fabbrica Italia, tutti, Fiom compresa, avevano dato un giudizio positivo. Poi gli accordi sono stati votati e approvati nelle fabbriche, dove alla fine ha pagato il nostro atteggiamento di responsabilità. Ora le questioni aperte riguardano il futuro degli stabilimenti di Melfi e Cassino. Non Mirafiori, dove Marchionne ha confermato proprio a inizio agosto l’avvio delle produzioni di due Suv col marchio Jeep.Non crede che il futuro di Torino sia a rischio?No. Però è doveroso chiedersi: perché, se le nuove produzioni di Mirafiori erano orientate al mercato americano, ora si temporeggia? Non solo: si dice che l’obiettivo in futuro sarà quello di aumentare i livelli di export delle auto prodotte in Italia. Di certo questo succederà con modelli come Maserati, ma sul resto cosa si intende fare?Va detto che l’azienda aveva lanciato l’allarme per tempo, anticipando il crollo estivo del mercato dell’auto...La situazione è drammatica, ma non possiamo accettare le motivazioni addotte da Fiat peraltro con una tempistica sospetta, visto che a fine ottobre è fissato un nuovo incontro con le parti sociali. Detto questo, qualcosa si può fare: partiamo dagli incentivi per chi investe in stabilimenti, macchinari e attrezzature. Così l’impresa dimezza i rischi e una parte degli oneri ricade sulla fiscalità generale.Si deve muovere l’Italia o l’Europa?Il governo deve abbandonare l’atteggiamento passivo che ha avuto fin qui e iniziare a fare la propria parte. Quando era in gioco il destino di Chrysler, Obama non ci ha pensato due volte a mettere sul piatto fondi pubblici, che poi Torino ha restituito in anticipo. Lo stesso discorso vale per Hollande in Francia. Servono politiche industriali degne di questo nome: non è possibile che il settore auto continui a pagare il prezzo di questa crisi, dopo gli interventi penalizzanti sull’accise dei carburanti e sull’Iva.Che impegni possono prendere, invece, i sindacati?I lavoratori stanno già facendo la loro parte: la produttività in fabbrica è migliorata e questo si riflette anche su una maggior efficienza dei sistemi produttivi. Ora la priorità è mettere in sicurezza gli stabilimenti.