Economia

INTERVISTA. Antonio Tajani: «La Fiat via dall’Italia? Un danno per l’Europa»

Giovanni Maria Del Re giovedì 20 settembre 2012
​La Fiat non deve lasciare l’Italia, sarebbe un danno non solo per il Paese, ma per tutta l’Europa. Bruxelles farà di tutto per evitare che i grandi costruttori abbandonino il Vecchio Continente, ma serve anche un rilancio dell’intera politica industriale europea. Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea, prende con molta passione il suo portafoglio di commissario all’Industria, e naturalmente segue da vicino il dramma del crollo delle vendite di vetture in vari Paesi dell’Unione, Italia in testa (è tornata ai livelli degli anni Settanta).Vicepresidente, partiamo dalla Fiat. Sergio Marchionne ha appena dichiarato che non pensa di lasciare l’Italia.Direi che è un’ottima notizia. Perché se la Fiat se ne andasse sarebbe una grave danno non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa. Vorrebbe dire che un patrimonio di know-how, di conoscenze costruito in un secolo, tutto il lavoro di innovazione si trasferirebbe altrove, per non parlare delle migliaia di posti di lavoro che salterebbero.Marchionne ha però anche detto che finanzia le perdite in Italia e in Europa con i guadagni fatti oltre Oceano...Questa è una parte di quella che io chiamo internazionalizzazione dell’industria, su cui punto moltissimo. Perché questa è tutt’altra cosa che delocalizzare: al contrario, come dimostra la Fiat ma potremmo citare tante altre aziende europee, è proprio grazie alla vasta presenza internazionale che si riesce a mantenere posti di lavoro da noi, anche se magari sono più costosi.Non è che gli stessi costruttori dovrebbero fare qualche sforzo in più per essere competitivi?Certamente è essenziale che continuino a lavorare per innovare sul fronte tecnologico, per restare all’avanguardia.Già ma intanto varie case automobilistiche europee, di fronte a una così drastica contrazione del mercato europeo, avvertono che potrebbero esser chiusi numerosi impianti per l’eccesso di produzione....Premesso che questo rientra nell’ambito delle decisioni industriali e non dell’Ue, mi lasci sottolineare un punto: il modello che perseguiamo in Europa non è quello del mercato puro, ma dell’economia sociale di mercato. Prima di decidere di chiudere impianti o addirittura di trasferirsi altrove, le industrie devono riflettere con attenzione sulla propria responsabilità sociale, devono assolutamente esperire tutti gli strumenti per evitare chiusure ed esuberi.E l’Europa?La Commissione Europea fa di tutto perché i grandi gruppi, e non solo del settore auto, restino nel Vecchio Continente. Noi siamo convinti che l’industria dell’auto sia un settore chiave. Basti pensare che secondo recenti stime le vetture in circolazione nel mondo passeranno dagli attuali 800 milioni a 2,5 miliardi nel 2050. A ottobre presenteremo un piano d’azione per l’auto che si fonda su tre punti. Il primo è quello di una regolamentazione più intelligente, che intervenga solo dove è strettamente necessario, evitando, se possibile, l’introduzione di ulteriori norme. Il secondo punto riguarda l’aumento delle risorse previste per il comparto auto nella nostra proposta di bilancio multiannuale dell’Ue 2014-2020, dall’attuale miliardo a 1,5 miliardi di euro. Infine, c’è la questione commerciale, soprattutto per gli accordi con Paesi terzi. Ci siamo accorti che in alcuni casi il comparto dell’auto europeo ha avuto degli svantaggi...Si riferisce al vituperato accordo di libero scambio con la Corea del Sud?Ad esempio. Quello che voglio dire è che con i prossimi (il riferimento è al negoziato in corso per un analogo accordo con il Giappone, ndr) si faccia maggiore attenzione all’impatto sui singoli comparti, con veri e propri test preventivi sulla competitività. Però attenzione: non ci si può focalizzare solo su un settore, è tutta la politica industriale nel suo complesso che va rilanciata, altrimenti si continua a ricorrere a soluzioni tampone che non servono a niente. Il punto è che è ora di tornare all’industria. Si era creduto di risolvere tutto con l’alta finanza, ma se questa non serve l’industria ma solo a creare soldi dai soldi, si fa il gioco solo di pochi che si arricchiscono sempre di più senza creare niente di solido. Ed è per questo che, sempre a ottobre, presenteremo una nuova strategia di politica industriale per l’Ue.Vede una luce alla fine del tunnel?Marchionne ha parlato del 2014, io spero già nel 2013. Solo che bisogna allargare lo sguardo all’intero contesto europeo. Quello che serve per superare la crisi, e non solo dell’auto, è proseguire gli sforzi intrapresi per approfondire l’integrazione europea, che passa certamente anche dall’unione bancaria. In questo modo si possono mettere a bada gli speculatori e riportare la fiducia. Perché un grosso pezzo di questa crisi è dovuta all’insicurezza dei cittadini, sul futuro del loro Paese, dell’euro, dei propri risparmi. È normale che i consumi crollino, di certo chi non è più sicuro di conservare il proprio posto di lavoro – o peggio lo ha perso – l’ultima cosa che fa è pensare a cambiare la macchina. Ripeto, bisogna riportare la fiducia e, aggiungo, evitare di esagerare con l’austerity: non bisogna vivere al di sopra dei propri mezzi, ma neppure al di sotto.