Economia

ANALISI. L'instabilità che spaventa l'Europa

Massimo Calvi lunedì 30 settembre 2013
L'accelerazione improvvisa della crisi di governo apre uno scenario non facile da gestire dal punto di vista economico, finanziario e dei rapporti con l’Europa. La rottura del quadro di stabilità non è solo un fatto di politica interna, ma nel contesto europeo diventa una seria minaccia per i conti pubblici e una fonte di preoccupazione per gli altri Paesi, oltre che per la Commissione. È anche per questo che da ieri sera il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi ha incominciato a prendere contatti con le principali capitali per tentare una non facile opera di rassicurazione sulla possibilità che l’Italia rispetti comunque gli impegni presi.Uno dei problemi maggiori – dopo la reazione dei mercati, le tensioni sullo spread e i rischi di declassamento del rating, ovviamente – riguarda ad esempio la Legge di Stabilità. Lo scenario peggiore evocato dal vice ministro all’Economia, Stefano Fassina, è che a scriverla sia la Troika composta da Fmi, Bce e Commissione Ue. Ma questo potrebbe verificarsi ad esempio in una situazione di totale ingovernabilità come in caso di elezioni. Al momento non se ne parla.Il fatto è che comunque, per la prima volta da quest’anno, le "manovre" dei Paesi dell’Eurozona vanno presentate entro il 15 ottobre alla Commissione europea e all’Eurogruppo, perché venga verificata la loro sostenibilità e corrispondenza alle regole dei trattati. Il parere deve essere emesso al più tardi entro il 30 novembre e nel corso di questo periodo la Commissione può indicare al governo le cose che non vanno e suggerire le possibili modifiche. Poi, le leggi di Stabilità vanno adottate entro il 31 dicembre. Un calendario difficile da rispettare.L’Italia non ha preparato la sua "finanziaria", né ha completato la definizione delle coperture dell’abolizione dell’Imu che Bruxelles si aspetta entro il 15 ottobre. Anche l’intervento sull’Iva dovrebbe trovare giustificazione, dato che il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil è invalicabile, a maggior ragione per un Paese che è appena uscito dalla procedura per deficit eccessivo.Quella della procedura è un’altra faccenda serissima, perché a questo punto tutto potrebbe riaprirsi. L’Italia ha superato il 3% nel rapporto deficit/Pil, non ha iniziato a ridurre il debito e procede a rilento sulle riforme. La crisi di governo, dunque, metterebbe in stand-by i conti, e con le previsioni economiche del 5 novembre la Commissione Ue non potrebbe fare altro che confermare lo sforamento e rimandare a maggio per una eventuale riapertura della procedura per deficit eccessivo. Tradotto in soldoni: perderemmo i 12 miliardi di euro di risorse finanziarie per il 2014 e il 2015 rese disponibili dalla chiusura a maggio scorso della precedente procedura.Non è solo una questione di numeri: altri Paesi, come la Francia, hanno un deficit/Pil molto più alto del nostro (Parigi è al 4,1%) e non centreranno l’obiettivo di riduzione per il 2013 concordato con Bruxelles. Tuttavia l’Ue darà comunque l’ok perché il piano di riforme presentato da Parigi è convincente, procede spedito e il Paese è solido. Soprattutto, al momento, si presenta stabile politicamente. Difficilmente, invece, le istituzioni europee potranno essere comprensive nei confronti di Roma, nel momento in cui il cammino per le riforme procede a rilento, le coperture degli interventi non sono credibili, non vi sono risorse da investire sulla competitività e, soprattutto, il debito – secondo più alto d’Europa – continua ad aumentare.I primi mesi del 2014, inoltre, ci conducono verso il Consiglio europeo di marzo, cioè il vertice dei capi di Stato e di governo nel quale si compiono quei passi e quelle verifiche che poi conducono alle previsioni di primavera della Commissione europea e alle raccomandazioni ai Paesi. Per l’Italia sarebbe stato importante confermare i risultati ottenuti fin qui, tra l’altro in vista della seconda parte dell’anno, quando inizierà il semestre italiano di presidenza dell’Ue.Il quadro di stabilità in Italia si è improvvisamente rotto, quando ormai la stabilità politica in un Paese è considerata da più parti un valore aggiunto, quasi un valore in sé. La crisi ha dimostrato infatti che vi è una fortissima interdipendenza tra i Paesi: i problemi e le virtù di uno, in Europa diventano velocemente i problemi e le virtù degli altri. Nessuno può più giocare da solo. Una lezione che ha portato una trasformazione significativa negli assetti politici e di governo.Come si è visto, nelle situazioni dove gli esiti elettorali hanno prodotto risultati incerti – oppure chiari, ma non sufficientemente forti – la strada seguita è sempre più spesso quella delle "grandi coalizioni". Alleanze, cioè, tra le forze politiche che storicamente si sono fronteggiate, per rendere più lineare, e condiviso, il cammino delle riforme necessarie a fronteggiare le difficoltà. È successo in Germania, Olanda, Grecia. Si è provato in Italia, ma l’esperimento non è durato.