Economia

Indagine. Lo stipendio resta il principale criterio per cambiare lavoro

Maurizio Carucci mercoledì 9 febbraio 2022

Il salario spesso determina le scelte dei lavoratori

Sia i lavoratori sia le aziende ritengono che stipendio, clima aziendale e opportunità di carriera sono tra i criteri più importanti presi in considerazione quando si sceglie di inviare la propria candidatura. È quanto emerge dalla ricerca Exploring workers’ professional aspirations, attraverso la quale Adecco ha chiesto a 1.300 lavoratori e 155 aziende con sede in 16 paesi di descrivere le aspettative di chi si candida per una nuova posizione lavorativa, al fine di comprendere se le aziende valutano correttamente le aspettative dei lavoratori, e viceversa. Tra gli aspetti presi in considerazione dal sondaggio figurano l'ambiente di lavoro in generale, la politica salariale, la cultura aziendale, lo stile di gestione del management, le modalità di selezione e le procedure di assunzione. Lo stipendio - compresa un'eventuale assicurazione sanitaria - è in cima alla lista delle aspettative in tutti i Paesi e le fasce d'età, dalla “Gen Z” ai baby boomer, secondo il 53% dei professionisti, mentre addirittura l'80% delle aziende ritiene che la retribuzione sia la priorità principale dei lavoratori. Per il 36% delle aziende, invece, l’aspetto più importante è un buon clima sul posto di lavoro, a pari merito con le opportunità di fare carriera (37%). Dal sondaggio emerge però che i dipendenti preferiscono una sana atmosfera sul luogo di lavoro (36% contro il 25% che predilige le possibilità di crescita professionale). Inoltre, i dipendenti attribuiscono notevole importanza alla flessibilità, sia in termini di tempo che di luogo. Le priorità espresse dai lavoratori corrispondono essenzialmente con quelle delle aziende, anche se queste ultime stimano maggiori aspettative in termini di flessibilità rispetto alle reali esigenze dei professionisti. I dipendenti considerano fondamentali anche il benessere generale e la tutela della salute (17%), due aspetti diventati ancora più importanti a seguito della pandemia. Tra i dati più sorprendenti si nota che, se da un lato il 14% delle aziende ritiene che la fama del brand sia un fattore importante, dall’altro soltanto il 4% dei dipendenti lo ritiene un aspetto davvero determinante, collocandolo quasi in fondo alla lista delle priorità. Per un lavoratore italiano su due (52%) lo stipendio rappresenta il criterio più importante quando si sceglie se inviare la propria candidatura per una nuova posizione lavorativa. In merito ai settori in cui i professionisti vorrebbero lavorare spicca l’automotive che, nonostante il periodo non particolarmente brillante, richiama il 19% delle preferenze. La seconda posizione è ricoperta dalla logistica e dai trasporti con un 13% delle preferenze. Se parliamo delle dimensioni dell’azienda dei sogni, invece, gli italiani preferiscono le multinazionali (57%), il 30% sceglie le pmi, mentre solo il 7% dei professionisti ha ambizioni imprenditoriali. I restanti rispondenti prediligono start up e organizzazioni non profit.

Le lavoratrici continuano a guadagnare meno dei colleghi

Anche nel nostro Paese le lavoratrici continuano a guadagnare meno dei colleghi. Lo si evince dall’indagine condotta da applavoro.it, il portale che punta sulla meritocrazia e mette in contatto domanda e offerta. Si pensi che nello scorso anno il differenziale in alcuni lavori è arrivato a sfiorare anche il 30%. È il caso dei cuochi maschi, che hanno dichiarato uno stipendio medio di 1.548 euro, mentre le donne si sono fermate a 1.098. Nella lista dei principali settori lavorativi è presente un differenziale più o meno elevato. Basti pensare che nel settore terziario e in particolare gli agenti di commercio, che sono quelli che hanno dichiarato di guadagnare di più nel 2021, il differenziale di stipendio è del 19%. Gli uomini hanno guadagnato in media 2.395 euro, le donne si sono fermate a 1.922. Stesso discorso per gli impiegati che hanno registrato un differenziale del 16% (1.506 gli uomini contro i 1.255 delle donne). Anche nel settore commerciale le commesse e addette alle vendite (mansione molto in voga tra le donne) a guadagnare sono sempre più gli uomini con 1.203 euro in media per questi ultimi e 1.008 euro per le prime. Spulciando i dati in un unico caso la differenza è stata soltanto del 4%, quello delle segretarie che hanno guadagnato quasi quanto gli uomini (981 contro 1.023). Esaminando più nel dettaglio i dati per le principali città italiane - che tengono conto soltanto della differenza in busta paga dovuta a parità di ore lavorate e nello stesso ruolo e non di eventuali detrazioni o bonus - i risultati sono ancora più eloquenti e in qualche caso pendono anche a favore delle donne a dimostrazione che non in tutta Italia il divario è contro il gentil sesso. Prendiamo per esempio la mansione di addetta alle vendite, il gap a Firenze non esiste (1.220 gli uomini contro i 1.217 delle donne), a Palermo arriva a sfiorare il 27% (le donne hanno dichiarato di guadagnare 880 euro al mese), ma a Bologna sono le donne a spuntarla visto che guadagnano il 15% in più. Per gli agenti di commercio invece la situazione è davvero eterogenea e al limite. Abbiamo un differenziale a favore degli uomini del 40% a Roma ma a Napoli quel 11% di donne che svolge questo lavoro guadagna il 42% in più (3.000 contro 2.110). Altri casi interessanti dove le donne segnalano di guadagnare più degli uomini ci sono a Bologna dove le impiegate si portano a casa il 14% di stipendio in più o le cameriere che sempre nel capoluogo emiliano guadagnano circa 100 euro in più degli uomini.

Differenze salariali anche tra i liberi professionisti

Diseguaglianze di genere nel mondo dei liberi professionisti. Dai dati del Rapporto sulle libere professioni in Italia, a cura di Confprofessioni, emerge che nonostante gli uomini rappresentino ancora il 64,4% della popolazione professionale, negli ultimi anni sono state le donne a sostenere la crescita occupazionale dei liberi professionisti con un aumento di circa 165mila unità rispetto al 2010 (le regioni più “rosa” sono la Sardegna, la Lombardia e il Lazio). D’altro canto, però, se guardiamo ai redditi, il divario di genere rimane molto ampio: soprattutto nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, gli uomini guadagnano in media più di 23mila euro rispetto alle colleghe, fenomeno molto marcato tra i notai, i commercialisti e gli avvocati.

Più laureate e più brave, ma pagate peggio

Le migliori performance negli studi delle laureate non arginano il divario a favore degli uomini ​ su esiti occupazionali e retribuzione. Il Rapporto dal titolo Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali è stato realizzato attingendo alle indagini che ogni anno forniscono dati sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei laureati: per le indagini più recenti, 291mila laureati del 2020, e 655mila laureati del 2019, 2017 e 2015, intervistati a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. Dall’Osservatorio di AlmaLaurea emerge che in Italia nel 2020 le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati, con performance pre-universitarie e accademiche migliori di quelle dei colleghi. Eppure questi ultimi sono più valorizzati sul mercato del lavoro e occupano professioni di più alto livello. Le donne ambiscono alla stabilità del lavoro, all’utilità sociale e all’indipendenza, mentre gli uomini puntano al guadagno e alla carriera. Con i figli il divario si amplia.

Previdenza e organizzazione aziendale

L’invecchiamento della popolazione, il trasferimento dei saperi e la valorizzazione delle risorse interne; la gestione del cambiamento e l’attrazione dei talenti; la difficoltà dei giovani nel comprendere l’importanza di conoscere la propria posizione previdenziale e pensionistica per tempo. Questi i principali temi di Futuro prossimo: la previdenza come elemento della strategia nel governo delle organizzazioni aziendali, il webinar che ha raccolto oltre 200 imprese e che ha visto la partecipazione di Maria Raffaella Caprioglio e Giuseppe Venier, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Umana; Antonio Pone, direttore regionale Inps Veneto, Tiziano Neri, partner di Scenari Srl e Roberta Bullo, direttore generale di Itinere. La previdenza quale strumento strategico nelle organizzazioni aziendali è un tema ancora poco frequentato dalle imprese, ma che raccoglie in sé numerosi e importanti elementi di sviluppo. E sono significativi in questo senso i dati raccolti da una recente indagine LinkedIn condotta dall’Ufficio Studi di Umana su un campione di oltre 2mila dipendenti, in cui emerge che oltre il 50% di questi non conosce o non è interessato a conoscere il proprio stato previdenziale. Non sa, insomma, quando e come andrà in pensione. Una ricerca parallela, condotta questa volta su un campione di Hr manager, C-Level o direttori del personale, conferma che il 71% di questi non ha consapevolezza di quante persone andranno in pensione nella propria azienda nei prossimi tre anni. Tuttavia, nove imprese su dieci ritengono utile avere una fotografia delle uscite nei prossimi 36 mesi in ogni dipartimento.