Economia

Indagine. Le competenze del futuro passano da scienza e tecnologia

Redazione Romana sabato 25 luglio 2020

Fabio Pompei, ceo di Deloitte Italy e Deloitte Central Mediterranean

L’evoluzione e l’innovazione tecnologica stanno rivoluzionando il mercato del lavoro, determinando un incremento nella ricerca di profili Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). A questa crescita, però, non corrisponde un incremento dell’offerta di risorse con una formazione di carattere scientifico e informatico: circa un’azienda su quattro (23%) non è riuscita a trovare profili Stem nel “momento del bisogno”. Proprio da questo mancato incontro tra domanda e offerta nasce l’indagine di Deloitte: una ricerca effettuata in collaborazione con Swg e grazie al contributo di Monitor Deloitte, che si propone di analizzare le ragioni di questo divario dell’offerta formativa, al fine di produrre ricadute concrete a livello Paese, ponendosi come interlocutore privilegiato al centro di una rete di interlocutori (Università, governo, istituzioni, aziende eccetera). L’analisi ha raccolto diversi punti di vista, partendo da studenti e giovani occupati e non, ma anche docenti e mondo imprenditoriale.

«Deloitte e Fondazione Deloitte hanno deciso di impegnarsi in prima linea per contribuire a una sfida così complessa. Il network di Deloitte, in Italia e nel mondo, già da tempo è convinto che su questo tema si debba giocare un ruolo importante - spiega Fabio Pompei, ceo di Deloitte Italy e Deloitte Central Mediterranean -. All’inizio del 2020, Deloitte ha lanciato il progetto Impact for Italy, con l’obiettivo di contribuire a far crescere e rendere più competitivo il Paese anche grazie alle imprese e a un approccio rinnovato rispetto al passato. L’Italia deve compiere uno sforzo eccezionale per reagire alla crisi e scongiurare la minaccia di una recessione senza precedenti: si tratta di una prova storica per il nostro Paese, che proprio in questi mesi si appresta a prendere il testimone della guida del G20, con l’obiettivo di riflettere sul nuovo mondo che vogliamo costruire».

Lo studio è stato lo spunto al centro del dibattito Osservatorio Fondazione Deloitte - RiGeneration Stem. Le competenze del futuro passano da scienza e tecnologia, occasione perfetta per discutere di:

Molti gli ospiti che hanno condiviso, online, esperienze e punti di vista, per un futuro più orientato alle Stem. Le due tavole rotonde hanno infatti visto partecipare Giovanni Brugnoli, Silvia Candiani, Roberta Cocco, Gianmario Verona, moderati da Stefania Papa, People & Purpose Leader, Deloitte, e Vittorio Colao, Luciano Fontana, Maria Pregnolato, moderati da Fabio Pompei, CEO Deloitte Italy e Deloitte Central Mediterranean.

Il giro di tavolo finale moderato da Paolo Gibello, Presidente Fondazione Deloitte, è stato l’occasione per discutere con gli ospiti, raggiunti anche a Gaetano Manfredi e Ferruccio Resta, di quali saranno le evoluzioni attese per il mercato del lavoro e dell’offerta formativa a seguito del Covid-19.

«Le materie Stem sono il futuro: saranno, infatti, le discipline tecniche e scientifiche a plasmare il mondo di domani. Le imprese se ne sono accorte da anni, ma non è accaduto lo stesso tra i giovani italiani, che, nella maggioranza dei casi, continuano a puntare su una formazione non Stem -commenta Paolo Gibello, presidente della Fondazione Deloitte -. Per questo, come Fondazione, abbiamo deciso di dare vita a un Osservatorio e di indagare le motivazioni delle scelte dei giovani. I risultati che emergono ci fanno capire che l’Italia ha tutto il potenziale per invertire il trend e porsi all’avanguardia del settore dell’istruzione e della ricerca anche in ambito Stem. È una grande sfida per tutto il sistema Paese e siamo orgogliosi di portare il nostro contributo. Come mostrato dallo studio emerge la necessità di intervenire nei tre principali momenti della vita di uno studente: partendo dalla fase di orientamento all’interno del panorama scolastico, passando per il vissuto durante gli anni della formazione, arrivando infine, all’ingresso del mondo del lavoro e alle prospettive per il futuro. Per questo riteniamo che debbano essere approfondite le dinamiche sottostanti le scelte dei giovani, le criticità del sistema scolastico e accademico, nonché del passaggio all’ambiente professionale, per tracciare chiare linee di indirizzo e di concreta progettualità».

In Italia, solamente uno studente universitario su quattro è iscritto a facoltà Stem (il 27% del totale), e queste risorse non mostrano un incremento significativo negli anni. Inoltre, di questi studenti, solo uno su dieci è iscritto alle Facoltà che rispondono appieno alle esigenze professionali emergenti. Nonostante esista un potenziale bacino di studenti interessati alle materie tecnico-scientifiche, una percentuale rilevante di questi ultimi ha cambiato rotta nel momento decisivo di iscrizione: due studenti non Stem su cinque e un giovane occupato su tre hanno infatti dichiarato di avere avuto un interesse verso le discipline Stem, che non si è mai concretizzato. Tra i fattori che influenzano le scelte scolastiche dei ragazzi, il primo posto è occupato dalla famiglia, mentre i servizi di orientamento hanno un impatto marginale: solo uno studente su sei è stato guidato dai Centri di orientamento nella scelta dell’indirizzo scolastico. Gli studenti si troverebbero quindi un po’ soli, al momento della scelta, fattore che porterebbe a una percezione distorta dell’effettiva offerta formativa e delle potenzialità della stessa. Ma quali sono i motivi che allontanano i giovani dalla scelta di percorsi formativi Stem? Chi si iscrive a scuole secondarie non Stem, lo fa principalmente perché ritiene che questi percorsi siano maggiormente in linea con le proprie capacità. Nel passaggio all’Università, invece, la passione per le materie e la coerenza con le proprie capacità, vengono integrati anche dalla valutazione circa la possibilità di raggiungere la professione ambita. I giovani, infatti, associano al percorso Stem delle professioni evidentemente poco ambite, in particolare il professore sottopagato, lo scienziato premio Nobel, o l’informatico nerd. Queste tendenze risultano ancor più marcate all’interno dell’universo femminile, presso cui vi è un’elevata percezione di disallineamento di interesse rispetto ai contenuti (per il 66% delle donne contro il 59% degli uomini) e di inadeguata formazione (per il 24% donne contro il 16% degli uomini).

E se aziende e professori non riscontrano alcun gap di genere nelle performance, ben un giovane occupato in ambito Stem su tre ritiene che il proprio lavoro sia più adatto alle capacità degli uomini.

L’offerta formativa nazionale sembra essere apprezzata da studenti e aziende: queste ultime, in particolare, dichiarano un elevato grado di soddisfazione sul livello di preparazione degli studenti e delle risorse in azienda. La valutazione addirittura aumenta nel caso di risorse Stem che, su una scala da uno a dieci, ottengono un voto medio di 6,7 presso i docenti, e di 8,3 per le imprese – quindi con le aziende che valutano i giovani addirittura in maniera più positiva rispetto ai loro docenti. Alcuni elementi che rendono premiante la formazione scolastica e accademica vengono riconosciuti nelle soft skill, ovvero quelle capacità di stampo cognitivo, relazionale e comunicativo, che differiscono dalle competenze e capacità tecniche legate a specifiche mansioni o ruoli. Elementi rilevanti sono, per esempio, pensiero critico, problem solving e proattività. Gli studenti si sentono in media meno preparati su altre competenze trasversali ritenute importanti dalle imprese, come capacità decisionali e gestionali, creatività e team management.

Oltre a queste ultime, altri spunti di sviluppo per l’offerta formativa sono:

In conclusione, Fondazione Deloitte ha identificato quattro principali leve volte a coinvolgere maggiormente i giovani e a incoraggiare la scelta di percorsi Stem: favorire la pratica durante le ore di didattica; rafforzare i momenti di incontro con le aziende; eliminare le distorsioni percettive sui percorsi Stem; contaminare i programmi Stem e non Stem, spostandosi verso le cosiddette “Digital Humanites”.