Economia

Inapp. Qualità del lavoro: l'Italia divisa a metà

Redazione Economia mercoledì 18 gennaio 2023

La qualità del lavoro in Italia viaggia su due binari differenti. Promosse le aziende e i lavoratori al Centro Nord, restano indietro il Mezzogiorno, i giovani e le donne. È questo il risultato della quinta indagine sulla "Qualità del lavoro" realizzata dai ricercatori dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) che ha coinvolto oltre 15mila occupati (sopra i 17 anni) e 5mila imprese sul territorio nazionale. che colloca il nostro Paese in una sorta di "terra di mezzo" tra quelli dove la qualità del lavoro è più elevata, come i paesi scandinavi ma anche Germania, Austria, Svizzera e i paesi dell’Est Europa che sono in fondo alla classifica soprattutto per una scarsa protezione nel mercato del lavoro e dell’ambiente lavorativo (Ocse).

Italia promossa a metà insomma. In particolare, il 24% dei lavoratori percepisce a rischio la propria salute sul posto di lavoro, questo aspetto risulta più preoccupante nel Mezzogiorno (28%) e tra i dipendenti pubblici (30%). Inoltre, più di un terzo dei lavoratori (37%) dichiara di non avere alcuna flessibilità rispetto all’orario, percentuale che sale al 42% tra le donne specialmente se dipendenti nel pubblico (50%). Un ulteriore elemento critico riguarda l’immobilismo nelle carriere professionali, che coinvolge il 69% degli occupati e presenta valori maggiori tra i dipendenti pubblici e tra i giovani 18-34enni (73%). A Tutto ciò si aggiunge una crescente routinizzazione delle attività lavorative, che riguarda in particolar modo i lavoratori del Mezzogiorno, dove il 71% degli occupati dichiara di svolgere attività ripetitive, e chi lavora in micro-imprese con meno di 5 lavoratori (68%).

La ricerca introdotta dal presidente dell'Inapp Sebastiano Fadda è stata presentata questa mattina a Roma durante una giornata di studi presso l’Auditorium dell’Istituto e ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Romolo de Camillis, direttore generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del ministero del Lavoro, dei segretari confederali delle politiche del lavoro Tania Scacchetti (Cgil), Giulio Romani (Cisl) e Ivana Veronese (Uil) del direttore dell'area lavoro di Confindustria, Pierangelo Albini, e dei respnsabili del settore lavoro di Confcommercio e Legacoop Guido Lazzarelli e Antonio Zampiga.

“I risultati dell’indagine dimostrano che le imprese che hanno puntato su innovazione, cambiamento organizzativo e buona gestione delle risorse umane sono riuscite a costruire una ‘fortezza virtuosa’ capace di resistere agli shock e di generare un’elevata qualità del lavoro - ha spiegato il presidente Fadda - Sono, infatti, le imprese capaci di coniugare condivisione e partecipazione delle attività, elevata flessibilità organizzativa, propensione allo smart working e forte orientamento all’innovazione e al cambiamento, che hanno pagato meno lo scotto della recente crisi sanitaria: solo l’11% di esse dichiara di aver subito forti effetti negativi dalla crisi per l’emergenza Covid, rispetto ad una incidenza media del 21%. Le imprese “tradizionali” sono invece quelle che hanno subito gli effetti maggiori”.

Per aumentare la qualità del lavoro le analisi indicano che bisogna migliorare la gestione delle risorse umane e puntare sull’innovazione. Chi lo ha fatto, parliamo dell’8% delle imprese italiane, ha visto accrescere la propria competitività nei mercati e contemporaneamente la qualità del lavoro per i propri dipendenti. Sono le imprese “smart” (intelligenti) come le ha ribattezzate l’Inapp. Imprese che si caratterizzano anche per un’ampia partecipazione sia nella pianificazione delle attività (54,1% dei casi), che nella discussione dei cambiamenti organizzativi (73,6%) e attenzione al tema del life work balance (81%). Per queste imprese la qualità del lavoro non costituisce un costo, piuttosto un volano. Tra le imprese “smart” l’introduzione di cambiamenti e innovazioni ha generato nel 85% dei casi un incremento della produttività e nel 78% di fatturato, ma anche, in circa il 70% dei casi, un aumento sia del benessere che della motivazione dei lavoratori. In queste aziende, inoltre i lavoratori hanno una maggiore stabilità lavorativa (nel 91% di esse non sono presenti lavoratori a tempo determinato, e nel 78% dei casi il precariato porta alla successiva stabilizzazione).

Oltre alle smart nello studio emergono altre tre categorie di imprese: le “tradizionali di qualità” (50% delle imprese italiane) con un elevata consistenza di lavoratori permanenti, una bassa propensione allo smart working e un discreto livello di innovazione; le “ibride” caratterizzate da un elevato livello di lavoratori a tempo determinato e una bassa propensione al lavoro agile delle attività (20% delle imprese italiane) e, infine, le “resilienti” sia in termini di gestione delle risorse umane che d’innovazione (16% delle imprese italiane).