Economia

Disponibili modello e istruzioni. Imu e Tasi, dichiarazione degli enti non commerciali

Luigi Corbella mercoledì 2 luglio 2014

Disponibili dal 1° luglio sul sito del Dipartimento delle Finanze modello istruzioni per la dichiarazione IMU e Tasi degli enti non commerciali. Dopo una timida comparsa in bozza a febbraio erano sparite dai siti istituzionali con preoccupazione degli operatori. Opportunamente il Ministero aveva infatti scelto di risolvere importanti questioni interpretative nelle istruzioni che, in quanto da approvare con DM, hanno forza normativa. Il modello e le istruzioni finalmente approvate con il DM 26 giugno 2014 sono rassicuranti per quanto riguarda i criteri di esenzione e i meccanismi di calcolo per della percentuale di imponibilità degli immobili a parziale destinazione commerciale. Nessun passo indietro, insomma. Modello e istruzioni sono state riformulate semplicemente per far posto alla Tasi. Il nuovo tributo sui servizi indivisibili comunali che, insieme appunto all’IMU ed alla tassa sui rifiuti, la Tari, compendia l’Imposta Unica Comunale (IUC) istituita con la legge di stabilità 2014. Aldilà dello scioglilingua IMU e Tasi hanno infatti la stessa modalità di calcolo della base imponibile. Mentre per la Tari il meccanismo resta sostanzialmente quello basato su superfici e destinazioni d’uso. IMU e Tasi non sono però una il duplicato dell’altra. Pur essendo entrambe finalizzate a garantire gettito ai Comuni l’IMU ha connotazione patrimoniale, mentre la Tasi, gravando in parte anche sugli affittuari, è più difficile da qualificare malgrado la sua natura tributaria, anche in relazione al riferimento generico ai servizi che deve coprire. Tornando a modello e istruzioni le bozze di febbraio avevano lasciato in sospeso due temi. Sembrava che si dovessero dichiarare solo gli immobili totalmente imponibili e quelli parzialmente esenti. Le istruzioni dicono invece chiaramente, ed è utile ai fini Tasi, che vanno dichiarati anche quelli totalmente esenti. Per quanto riguarda, poi, il computo della proporzione di esenzione è confermato che non c’è una particolare gerarchia tra i metodi. Sono anzi tutto da applicare se del caso e concorrono tutti a ragguagliare la percentuale di imponibilità. Nel senso che se le ipotesi di utilizzo commerciale sono diverse e legittimano il ricorso a diversi criteri vanno considerate tutte ai fini della determinazione della percentuale di imponibilità. Per esempio in ambito didattico, il caso è delle istruzioni, quando nelle aule dedicate ad un corso sono accolti anche uditori a pagamento e le stesse sono talvolta concesse a titolo oneroso a terzi. Requisiti e criteri restano quelli attesi. Interessate sono le attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di culto e religione. A condizione che siano svolte senza finalità lucrative e, come vuole la UE, non si pongano in concorrenza con quelle degli operatori profit, costituendo piuttosto espressione dei principi di solidarietà. Le attività assistenziali, per definizione sussidiarie, sono svolte sempre con modalità non commerciali. Quelle sanitarie e socio sanitarie se accreditate e convenzionate, a contratto, con il servizio pubblico, senza limiti di compartecipazione dell’utenza. Ovvero se gratuite o con corrispettivi simbolici. Esattamente come per le attività didattiche. L’esenzione spetta dunque alle scuole paritarie ed a quelle che praticano rette simboliche. In parziale analogia l’istruzione e la formazione professionale sono meritevoli dell’esenzione se accreditate e cofinanziate con danaro pubblico. Salve anche le università legalmente riconosciute in relazione ai finanziamenti destinati al loro sostegno. Più articolato è il caso delle attività ricettive. L’accessibilità deve essere limitata ai destinatari propri delle attività istituzionali dell’ente e l’attività deve essere discontinua. Le tariffe non possono poi essere “di mercato”, con qualche complessità di individuazione pratica. Anche per le attività culturali e ricreative vale la regola del corrispettivo simbolico, non superiore alla metà dei corrispettivi medi di mercato comparabili. Più o meno come per le attività sportive svolte dagli enti affiliati al Coni ed agli altri enti di promozione sportiva.