Economia

Imprenditoria straniera. In cinque anni sono 46mila in più

Maurizio Carucci martedì 28 marzo 2023

Cresce l'imprenditoria straniera

Alla fine del 2022 le imprese con una prevalenza di soci e/o amministratori nati al di fuori dei confini nazionali sfioravano le 650mila unità, poco più del 10% dell’intera base imprenditoriale del Paese (appena sopra i sei milioni di unità). Questa stabile presenza si accompagna a un dinamismo anagrafico sconosciuto alle imprese avviate da persone nate in Italia. Negli ultimi cinque anni, l’imprenditoria straniera ha fatto segnare una crescita cumulata del 7,6% a fronte di un calo delle imprese di nostri connazionali del 2,3%. In termini assoluti, queste dinamiche non riescono a compensare la scomparsa di attività italiane: dal 2018 a oggi, le imprese di stranieri sono aumentate di 45.617 unità, mentre le non straniere sono diminuite di 126.013 unità, cosicché il totale complessivo della base imprenditoriale del paese si è ridotto di 80.396 imprese. È quanto emerge dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio riferiti al periodo 2018-2022 elaborati da Unioncamere-InfoCamere sulla base di Movimprese. Tra i due universi (imprese di stranieri e imprese di italiani) restano ancora profonde differenze strutturali. Tra le prime, la forma largamente prevalente resta ancora quella dell’impresa individuale (74,1%) laddove per le attività degli italiani questa quota da alcuni anni è ormai scesa stabilmente sotto la soglia del 50%. Al netto dello stop imposto dalla pandemia, l’andamento dell’ultimo quinquennio fotografa un effetto di sostituzione molto forte tra nuova imprenditoria immigrata e presenza italiana in questa che è la forma più semplice d’impresa. La seconda modalità organizzativa preferita dalle imprese è quella della società di capitali. Sebbene la loro presenza sia decisamente più numerosa tra le iniziative di italiani (dove superano la quota del 32%) che tra quelle di stranieri (dove si ferma al 18,4%), nel caso di queste ultime i cinque anni alle nostre spalle segnalano una vitalità più che marcata di questa forma d’impresa tra quelle di origine immigrata (+39,1% contro +6,3% delle attività degli italiani nel periodo considerato). Il confronto settoriale tra i percorsi delle imprese di stranieri e di nostri connazionali nell’ultimo quinquennio mette in evidenza differenze - anche notevoli - tra quello che accade a livello dei singoli comparti produttivi. In alcuni casi, l’espansione della base imprenditoriale di origini straniere contrasta una tendenza opposta delle imprese di italiani, riuscendo non solo a compensare le perdite di quest’ultima ma – in taluni casi - anche a far crescere l’intero segmento: come avviene nelle costruzioni (dove le imprese di italiani perdono quasi 12mila unità e le straniere aumentano di oltre 19mila) o nelle altre attività di servizi (in cui le imprese di italiani si riducono di 1.411 unità mentre le straniere crescono di quasi 6.800). In altri casi, le imprese di stranieri seguono la tendenza delle imprese di italiani registrando però - nel bene e nel male - performance quasi sempre migliori. Laddove straniere e autoctone crescono, le prime fanno sempre meglio delle seconde, con le uniche eccezioni dei servizi alle imprese e della fornitura di energia. Quando invece la base imprenditoriale si restringe, le straniere mostrano una resilienza nettamente più marcata: come nel commercio, dove la riduzione delle imprese di italiani è del -6,3%, quella delle imprese straniere del -2,5%. In altri casi si configura lo schema “a specchio” (con le straniere che aumentano, mentre quelle di italiani si riducono) in cui, tuttavia, la dinamica delle straniere non è sufficiente a compensare la contrazione delle altre. È così per l’agricoltura, che nel quinquennio perde complessivamente 28.501 imprese e vede crescere le straniere di sole 3.037 unità (con variazioni del -4,3% delle italiane e +18,2% delle straniere). Ed è così anche per le attività manifatturiere, dove le imprese di italiani perdono 39.985 unità e le straniere ne recuperano appena 1.769 (-7,7% contro +3,8% a favore delle straniere). Anche il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2022, curato da Idos e Cna, offre una panoramica sull’iniziativa autonomo-imprenditoriale dei cittadini immigrati in Italia, a livello comunitario, nazionale e regionale, utilizzando dati e statistiche affidabili. A livello Unione Europea, a partire dall’Entrepreneurship 2020 Action Plan, l’imprenditorialità dei migranti è stata riconosciuta come cruciale per il futuro dell’Europa, in particolare per il rilancio del sistema economico-produttivo comunitario dopo le crisi finanziaria del 2008 e pandemica del 2020. Secondo Eurostat, i lavoratori autonomi costituiscono l’11% degli stranieri che lavorano nell’Ue e il loro numero è triplicato tra il 2001 e il 2021 (passando da 675mila a 1,7 milioni). In Italia l’imprenditoria immigrata è in costante espansione. Il Rapporto evidenzia altre caratteristiche peculiari del caso italiano, come la predominanza tra le imprese immigrate della micro e piccola impresa (75,5% sono imprese individuali), l’aumento delle società di capitale (la cui incidenza sul totale è passata in dieci anni dal 9,6% al 16,9%) e la concentrazione settoriale nel commercio e nell’edilizia (rispettivamente 32,9% e 23,5%), con specifiche tendenze alla specializzazione in alcuni gruppi nazionali (per esempio il commercio assorbe il 67,3% degli imprenditori marocchini e il 64,1% dei bangladesi). L’imprenditoria immigrata ha inoltre una forte vocazione transnazionale e spesso porta innovazione e creatività, soprattutto tra le nuove generazioni. A fronte dello scarso ricambio autoctono delle leve produttive per il perdurante inverno demografico e la ripresa dell’emigrazione di giovani qualificati, il Rapporto suggerisce che l’Italia dovrebbe sostenere la strutturazione del sistema delle imprese immigrate, rimuovere gli ostacoli che ne scoraggiano la nascita e la crescita e supportarne il potenziale di innovazione.

Aumenta il fabbisogno di manodopera straniera

Sono oltre 417mila i contratti programmati dalle imprese nel mese di marzo e sono circa 1,3 milioni quelli previsti per il trimestre marzo-maggio. Mentre si attesta complessivamente al 47,4% la quota di assunzioni di difficile reperimento (+6,3% rispetto a un anno fa), soprattutto a causa della mancanza di candidati per ricoprire le posizioni lavorative aperte. A incontrare le maggiori difficoltà di reperimento sono i settori legno-arredo (59,2%), costruzioni (58,5%), metallurgia (58,3%), tessile-abbigliamento-moda (58%). Aumenta perciò la richiesta di lavoratori immigrati: erano poco più di 60mila a marzo 2022. Anche se sono state circa 245mila le domande giunte al Viminale nel click day per l'ingresso di lavoratori stranieri previsto dal decreto flussi 2022. Si tratta di circa il triplo della quota prevista dal provvedimento. C'è comunque tempo fino al 31 dicembre 2023 per presentare la domanda anche se le richieste saranno vagliate in ordine cronologico. A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. La quota di assunzioni che le imprese prevedono di ricoprire ricorrendo a immigrati si attesta sul 18,8% delle entrate complessive, in crescita rispetto al 16,8% di marzo 2022 (+2%). Logistica, servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone, industrie metallurgiche, industrie del legno-arredo e costruzioni sono i settori in cui la necessità di lavoratori immigrati supera il 20% degli ingressi programmati. Recentemente, i ministeri del Lavoro, dell’Interno e dell’Agricoltura hanno preso importanti decisioni su quanti lavoratori stranieri potranno entrare in Italia. Il governo Meloni ha autorizzato per il 2023 l’ingresso nel nostro Paese di 82.705 lavoratori migranti extracomunitari. Più dell’anno scorso e oltre il doppio rispetto al periodo pre-pandemia. Non è sempre stato così, se pensiamo che, in passato, il numero di persone ammesse era di circa 30mila. Ma ci sono anche stati anni, come il 2006, in cui gli ingressi consentiti erano circa 150mila. L'occupazione extracomunitaria ha dunque ricevuto un impulso che Assosomm-l’Associazione italiana delle Agenzie per il lavoro valuta positivamente, si pensi soltanto al punto di vista fiscale, dal momento che il lavoro regolare porta, di fatto, a maggiori entrate per lo Stato. «La proposta delle Agenzie per il lavoro per un’immigrazione positiva e risolutiva prevede la formazione all’estero e facilitazioni per un inserimento in Italia di cittadini extracomunitari formati. Siamo pronti anche a formare eventuali persone già presenti in Italia e in attesa di regolarizzazione. Con queste premesse, saremmo pronti ad assumere circa 80mila migranti in tre anni, pari cioè alle esigenze dei nostri clienti». Lo dichiara Rosario Rasizza, presidente di Assosomm. L’importanza di una buona politica immigratoria è del resto evidente dall’analisi della correlazione tra permanenza irregolare e criminalità e non sempre la misura delle sanatorie per le regolarizzazioni di chi oggi risiede in Italia senza le carte a posto può essere la via maestra per gestire in modo corretto la forza lavoro del nostro Paese. Occorre dunque pensarci prima, in modo strategico, e non correre ai ripari sanando situazioni critiche. Sono scenari con i quali le Agenzie per il lavoro si confrontano costantemente se pensiamo alla straordinaria quantità di ore investite dalle oltre 2.500 filiali impegnate nella gestione amministrativa del personale straniero attivato in somministrazione, a volte un vero e proprio slalom burocratico. Nelle professioni meno qualificate si riscontrano tre lavoratori stranieri su dieci italiani, ma il rapporto è destinato a invertirsi per effetto della crescente scolarizzazione della popolazione italiana. Un fatto che porta naturalmente a vedere sempre meno italiani a svolgere professioni quali ambulanti, addetti alle pulizie industriali o domestici, badanti, raccoglitori e braccianti agricoli.

La formazione a misura di giovani rifugiati e migranti

Numerose le iniziative per formare giovani rifugiati e migranti. ReadyForIT, per esempio, è il programma promosso da Fondazione Italiana Accenture Ets con l’obiettivo creare opportunità di lavoro concrete e mirate sulle competenze It, tra le più richieste dal mercato del lavoro, rendendole accessibili alle fasce economicamente e socialmente più fragili come Neet e giovani rifugiati e migranti. Il programma intende valorizzarne il potenziale favorendone l’integrazione professionale e generando inclusione finanziaria e sociale. A fronte di circa 400mila posti di lavoro vacanti in Italia per mancanza di competenze, in particolare in ambito It, il programma offre percorsi formativi di 3-6 mesi in grado di rispondere alle sfide del futuro e facilitarne l’inclusione nel tessuto lavorativo e sociale del Paese, attraverso lo sviluppo di competenze in Data Analytics, Cybersecurity e sviluppo Web/Mobile. Il progetto, reso possibile da una ampia e prestigiosa rete di partner tra cui Fondazione Vodafone Italia, The Human Safety Net, Fondazione Social Venture Giordano Dell'Amore e Fondazione Conad Ets, rispecchia in pieno la missione di Accenture e della sua Fondazione, che credono nella tecnologia come leva per rispondere a precise urgenze sociali, e per questo è costantemente impegnata nel valorizzare e supportare la crescita personale e professionale dei giovani attraverso una vasta gamma di iniziative e programmi. ReadyForIT ha già coinvolto oltre 600 studenti (70% Neet e 30% migranti e rifugiati provenienti principalmente dall’Afghanistan) evidenziando un tasso di occupazione del 70%, grazie a più di un milione di euro messi a disposizione delle Fondazioni in qualità di investitori in capitale umano. Con l’obiettivo di favorire l’aggiornamento e l’inserimento professionale di giovani rifugiati e migranti, Comau ha aderito ai progetti didattici di Powercoders, l’academy di sviluppo software che dal 2017 offre a studenti talentuosi di diverse nazionalità programmi formativi e tirocini nel settore It, in collaborazione con aziende di tutto il mondo. In particolare, a partire da febbraio 2023, Comau sta accogliendo nel suo team Ict, nella sede di Grugliasco (Torino), una giovane proveniente dal Bhutan e un ragazzo indiano. I due studenti, dopo aver svolto un percorso di formazione di tre mesi con Powercoders, completeranno uno stage retribuito di sei mesi nell’ente Comau Information & Communication Technology, dove entreranno a far parte di team di progetto innovativi focalizzati su Business Analytics e Cyber Security. Grazie a questo percorso didattico i giovani partecipanti potranno acquisire nuove competenze digitali, diventando esperti nell’uso dei principali linguaggi di programmazione web, a cui si aggiunge una formazione mirata al potenziamento di soft skills e abilità trasversali, oggi indispensabili per inserirsi con successo nel mondo del lavoro.