Economia

PROPOSTE. Il Pil non basta più? Ecco il nuovo indice equo e sostenibile

Andrea Di Turi domenica 1 luglio 2012

Dire ricchezza o benessere non è la stessa cosa. È noto, infatti, che il benessere non è misurabile solo in termini economici, per gli Stati come per le persone. Ciononostante, come mi­sura più prossima del benessere si conti­nua ad assumere il Pil, il Prodotto interno lordo. Che però da decenni è criticato per­ché, come già nel ’68 disse Robert Kennedy in un celebre discor­so, il Pil non misura «ciò che rende la vita degna di essere vissu­ta ».

Il rischio è di con­tinuare a vedere nella crescita del Pil l’obiet­tivo massimamente desiderabile, al limite l’unico possibile, capace di oscurare ogni altra considera­zione di ordine sociale o ambientale. Negli ultimi anni, però, complice la crisi, qualcosa sta cambiando. I sostenitori del­la necessità dell’introduzione di indica­tori alternativi 'oltre il Pil' hanno avuto più ascolto, a livello internazionale come nel nostro Paese. E ora l’Italia, grazie a un progetto congiunto Cnel-Istat, si pone al­l’avanguardia. Perché proprio nei giorni del Summit sullo sviluppo sostenibile 'Rio +20' sono stati resi noti gli indicatori con cui si inizierà a misurare il Bes, il Benes­sere equo e sostenibile. Un indicatore do­ve a fianco di quantità economiche tro­vano posto misure non economiche u­gualmente fondamentali per progettare politiche pubbliche e, prima ancora, per capire cosa si debba davvero intendere per progresso. Il Bes prevede 134 indicatori, suddivisi in dodici macro-dimensioni o domini: c’è il benessere economico ma anche l’am­biente, la salute, la sicurezza; poi istru­zione e formazione, ricerca, conciliazio­ne famiglia-lavoro e relazioni sociali; e an- cora benessere soggettivo, patrimonio cul­turale, qualità dei servizi, politica e istitu­zioni. In fatto di conciliazione famiglia-lavoro, ad esempio, si vanno a misurare l’asim­metria nel lavoro familiare e il rapporto tra tasso di occupazione delle 25-49enni con figli in età prescolare e delle donne senza figli. Per l’ambiente si considerano qualità dell’aria, disponibilità di verde nelle città, aree marine protette, biodiversità, emis­sioni Co2. E in rela­zione al patrimonio culturale si valutano anche la presenza di paesaggi rurali stori­ci, la spesa pubblica per musei e bibliote­che, il tasso di urba­nizzazione delle aree con vincolo paesag­gistico. Mentre per le relazioni sociali, uno degli aspetti più innovativi del Bes, si guar­da al numero di organizzazioni non profit e cooperative sociali ogni 10mila abitanti, al senso di 'fiducia generalizzata', alla dif­fusione del volontariato e alle attività ludi­che dei bimbi piccoli coi genitori. Da sottolineare come i lavori per la messa a punto del Bes abbiano seguito un pro­cesso altamente partecipato. Nel Comita­to d’indirizzo costituito a fine 2010 da C­nel e Istat hanno trovato posto le rappre­sentanze della società civile. E un sito de­dicato ha consentito ai cittadini di pro­nunciarsi su cosa sia per loro rilevante quando si pensa al benessere. Il primo Rapporto sul benessere in Italia arriverà già a fine anno. Ma il messaggio più importante del Bes, nonostante si tratti di misure, è fatto di altro: speranza e ottimi­smo. Proponendosi non di sostituire il Pil, ma di affiancarlo e completarlo, il Bes in­dica infatti che un modo diverso di vede­re le cose è possibile, forse indispensabile. Che non tutto nella vita è riconducibile al­la sfera economica. E che il benessere, spe­cie in una prospettiva di lungo periodo, è qualcosa di molto più ampio e complesso. Provare a darne una misura è il primo pas­so per conseguirlo.