Economia

TECNO FINANZA. È il mini-dollaro la vera «bomba» degli Usa

Pietro Saccò giovedì 31 ottobre 2013
Ormai è chiaro: non sarà Ben Bernanke il primo a pigiare il freno. Il presi­dente della Federal Reserve lascerà al suo successore Janet Yel­len, in carica dal prossimo gennaio, il compito di riportare la politica monetaria americana a uno stato più normale.
Fino ad allora, dopo avere pasticciato un po’ annunciando frenate immi­nenti e poi ritirando tutto, la Ban­ca centrale americana procederà ad alta velocità: il Federal Open Marketing Committee, cioè di­rettivo della Fed, ieri ha annun­ciato la decisione di confermare i tassi (tra lo 0 e lo 0,25%) e an­che il quarto piano di espansio­ne quantitativa che, combinato al terzo, da gennaio impegna la Fed a comprare, ogni mese, bond del Tesoro e titoli legati ai mutui per un ammontare com­plessivo di 85 miliardi di dollari. Per frenare su questi acquisti, ha scritto il Fomc, servono «ulterio­ri prove» della forza della ripre­sa americana. Quindi il colossale riversamen­to di denaro sul sistema finan­ziario mondiale prosegue.
Agli 85 miliardi mensili degli Usa vanno aggiunti i miliardi di yen che sta stampando la spericola­ta Banca del Giappone. Tutti sol­di che gli investitori puntano su­gli asset che ci sono a disposi­zione. Soprattutto le comode a­zioni ,semplici da comprare e vendere. Gli acquisti stanno a­limentando la corsa degli indici delle Bor­se mondiali. A Wall Street gli indici Na­sdaq e Dow Jones con­tinuano a segnare nuovi record, lo stesso sta facendo il Dax Fran­coforte. Il FtseMib di Milano è lontano dai massimi degli anni pre-crisi ma ha comunque gua­dagnato il 14% rispetto all’inizio dell’anno (ed è su del 25% da lu­glio). Anche i tassi relativamen­te contenuti dei nostri Btp (oggi il titolo decennale paga il 4,2%, un anno fa era al 5%) stanno be­neficiando degli acquisti dovuti ai tanti soldi in circolazione.
Ma non è una festa per tutti. Non per le aziende europee che vivo­no di esportazioni, per esempio. Con una Banca centrale europea più prudente delle colleghe di Tokyo e Washington, l’euro si va rafforzando mese do­po mese: in un anno ha guadagnato il 6,3% sul dollaro (ora vale 1,38 dollari) e il 31% sullo yen (il cambio è a 135). Una crescita che rende i listini del­la zona euro sempre più cari per le imprese del resto del mondo. Secondo i calcoli dell’Ufficio stu­di di Intesa Sanpaolo il supereu­ro costa all’Italia lo 0,4% del Pil. Tantissimo, per un’economia che, nei momenti buoni, è ormai abituata a espandersi a colpi di 'zero virgola'.