Economia

Lavoro. I contratti aziendali non «riallineano» salari e produttività

Paolo Pittaluga giovedì 17 marzo 2016
L’opera di Marco Biagi è sempre di attualità, anche a distanza di 14 anni dalla scomparsa del giuslavorista, assassinato da aderenti alle Nuove Brigate Rosse. La conferma viene dalla XIV giornata in sua memoria svoltasi ieri al Senato e che ha visto molti interventi per ricordare visione e metodo del professore. Lavori aperti dal presidente del Senato Pietro Grasso che ha ricordato come «oggi il tema del lavoro sia cruciale» perché «senza la libertà economica data dal lavoro non c’è libertà politica, e oggi l’assenza di lavoro, soprattutto tra i giovani, innesca un meccanismo di esclusione sociale». Michele Tiraboschi, docente all’Università di Modena e Reggio Emilia, ha ricordato come «Biagi ci ha lasciato il metodo del diritto delle relazioni industriali, che è quello del diritto vivente che nasce dalla rappresentanza, in chiave sussidiaria, partecipativa e condivisa». Maurizio Sacconi, presidente dell’Associazione Amici di Marco Biagi, ha sottolineato l’attualità della visione di Biagi invitando ad «attrezzarci per governare il cambiamento» usando «un piano di alfabetizzazione nazionale ». Emmanuele Massagli, presidente di Adapt – l’associazione fondata da Biagi nel 2000 per promuovere in una ottica internazionale studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro – ha rimarcato come il metodo di Biagi sia cosa attuale perché «è quello di formare giovani che faranno poi relazioni industriali». È stato poi presentato il nuovo Rapporto sulla contrattazione Adapt che mette in luce come la contrattazione aziendale è una pratica che avviene prevalentemente nel Centro e nel Nord Italia. Il salario è la materia più trattata e il 17% dei contratti aziendali prevede ancora erogazioni in cifra fissa che non risolvono il disallineamento tra salari e produttività. Infine il ministro Giuliano Poletti, che ha affermato che la dinamicità della geografia del lavoro portata dalla tecnologia «è molto più rapida del dinamismo dei cambiamento culturale e sociale» e «con questa lentezza si costruirà una sorta di autogestione di ciò che si è prodotto con gravi conseguenze ed esclusioni sociali».