Economia

Intervista a Javier Fernàndez Aguado. I duemila anni di management della Chiesa

Paola Del Vecchio domenica 28 febbraio 2021

Il professor Javier Fernàndez Aguado

Madrid «La Chiesa è il modello di gestione di maggiore successo della storia, dal quale molti dovrebbero apprendere. Ha a che vedere con la leadership, ma anche con l’applicazione ante litteram di concetti oggi all’avanguardia». Javier Fernández Aguado, direttore della cattedra di management della Fondazione la Caixa all’IE Business School e presidente di MindValue, noto come il Peter Drucker spagnolo per la sua ampia esperienza di teoria e pratica nel campo, ha appena pubblicato 2000 Years of leading teams (Editrice Kolima). Un’analisi ambiziosa in cui esamina, in 640 pagine, «un caso unico di corporazione, che fra concili e scismi si è saputa rinnovare mostrando un’enorme capacità di resilienza, senza perdere l’essenza».

Professor Aguado, qual è l’idea di partenza? Nei miei libri precedenti ho analizzato il management nell’antico Egitto, nella Roma imperiale e nella Grecia classica, nel partito bolscevico o nel III Reich. La Chiesa cattolica era la sfida più grande. Disponiamo di un’enorme documentazione, perché dagli inizi ha lasciato costanza scritta di decisioni o sistemi di controllo, da oltre 2000 anni convoca menti brillanti ed è riuscita in una penetrazione capillare come nessun’altra istituzione globale.

Lei passa in rivista l’esperienza di papi, di decine di santi e realtà ecclesiastiche. E per ognuno dei 72 capitoli riassume alcuni insegnamenti, dieci apotegmi: su che criteri si basano? Dalla lettura delle biografie dei 266 papi succedutisi finora ne ho selezionati 16 – fra cui Gregorio I e VII, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II – che mi interessavano particolarmente perché, al di là degli aspetti spirituali, hanno dovuto prendere decisioni importanti, rivelatesi di successo, a parte errori spesso involontari. Fra le migliaia di iniziative della Chiesa, ho scelte le 50 o 60 più innovative, mentre il resto dei capitoli è dedicato a fatti singolari, come le crociate, l’inquisizione o i principali concili. Esempi che dimostrano che molte delle tecniche considerate oggi innovative erano già state implementate dalla Chiesa.

Per esempio? L’idea di franchigia adottata da san Filippo Neri negli oratori è poi divenuta un modello applicato dall’istituzione cattolica. Lo stesso vale per il coaching, per l’interim management, di cui troviamo un primo riferimento in un testo di un vescovo del XVI secolo. L’istituzione ecclesiastica ha applicato metodologie oggi familiari nelle business school come employer branding, scrittura di lavoro, organizzazioni unicorni, mentoring, ambienti Vuca, oceani blu, fake news o deepfake, reti di valori o sistemi collaborativi. Da consulente di oltre 500 Ceo e alti dirigenti di 50 Paesi ho cercato di fare tesoro degli insegnamenti – e degli errori – distillati in venti secoli da adottare nel XXI secolo, ognuno nella propria organizzazione.

Quali le chiavi del successo? L’impegno, manifesto nel messaggio dei fondatori come nel sangue delle decine di martiri. La capacità di fare mappa di alcuni dei migliori talenti, tanto che nel Medio Evo i monasteri erano considerati le Silicon Valley dell’epoca per l’abilità nel coltivare e trasmettere cultura. La competenza nel fare squadra, generare spirito di servizio, e una resilienza senza paragoni. Un’altra chiave è l’intra-imprenditorialità, stimolando le figure dirigenziali a spingersi oltre le funzioni assegnate: penso, ad esempio, a madre Teresa di Calcutta.

Parlava di errori: quali, a suo giudizio, i principali? Direi la mancata formazione dei vertici, un errore comune ad altre organizzazioni. Non preparare in management chi è promosso a funzioni superiori, come vescovi o cardinali. Una cosa è avvicinare le persone a Dio, altro è governare, un’abilità che si impara, come la contabilità. Inoltre, in un mondo complesso come l’attuale, bisogna saper comunicare il bene che si fa.

E secondo lei, cosa ha garantito la sopravvivenza della Chiesa come 'holding' rispetto alla vita media di altre multinazionali? L’elemento spirituale e ultraterreno e la capacità di rinnovamento. I soli gesuiti nel 1540 introdussero fino a 10 innovazioni rivoluzionarie. Lo stesso si può dire per padre Pedro Poveda e le tesi teresiane, il modo in cui la donna è stata posta al centro del mondo, con un messaggio inedito.

La crisi del Covid-19 segna è uno spartiacque: ritiene che marcherà anche un cambiamento nel modello di business, nell’organizzazione e selezione delle leadership? Cambieranno molte cose, ma meno di quanto pensiamo. La pandemia in Europa si portò via fra il 50% e il 60% della popolazione nel 1345. Questa, nel peggiore degli scenari, colpirà lo 0,01%. È un evento gravissimo per volume, ma molto piccolo in percentuale. Anche se la gente immagina un cambio epocale, credo che porti soprattutto un cambiamento tecnologico irreversibile.