Economia

LA SFIDE DEL PAESE. Guzzetti: «Ora la Tobin tax per una finanza responsabile»

Eugenio Fatigante lunedì 16 aprile 2012
​Giuseppe Guzzetti, 78 anni a maggio, è da 12 anni il "sire" dell’Acri, l’associazione che riunisce le Fondazioni bancarie e le casse di risparmio che quest’anno celebra 100 anni. Un osservatorio privilegiato per valutare il Paese. E non solo.In che stato di salute vede l’Italia?Dobbiamo distinguere. C’è un dato drammatico su tutti: la disoccupazione giovanile. C’è una crisi internazionale che induce un contesto di ulteriori difficoltà, in cui tutto avviene a macchia di leopardo. Laddove si è investito in tecnologie le imprese riescono a tenere posizioni. Da noi, poi, la situazione è aggravata da due fattori: la spesa pubblica elevata e i tempi lunghi nella macchina amministrativa.E vede una capacità di reazione?Abbiamo passato momenti non meno difficili, dalla ricostruzione nel dopoguerra all’avvio dell’euro. Bisogna ricreare quelle condizioni: il Parlamento faccia la sua parte, e i partiti non indugino oltre a misurare il futuro sui loro consensi, ma assumano dei rischi in nome dell’interesse generale. Senza guardare ai corporativismi, come giustamente ha richiamato Monti.Sì, ma la cura sta funzionando?Intanto il premier ci ha ridato credibilità a livello internazionale, e non è poco. Ha evitato il tracollo, ora viene la parte più complicata: dare prospettive. E qui penso che un’operazione straordinaria di taglio del debito pubblico vada fatta - puntando al patrimonio dello Stato - per ridurre la dipendenza dagli investitori esteri. Molto dipenderà poi dalla <+corsivo>spending review<+tondo>: sono convinto che c’è ancora spazio per trovare le risorse necessarie per gli investimenti. E va abbattuta la mole dei sussidi erogati ai settori produttivi, come ha fatto Passera per le rinnovabili.Anche la grande finanza ha le sue colpe.Assolutamente sì. Di più: la speculazione ha ripreso i suoi giochi e non vuole essere imbrigliata da regole. Per questo va introdotta subito la tassa sulle transazioni finanziarie. Si può fare, è semplicissima, soprattutto se applicata alle operazioni ad alto contenuto speculativo. Guarda caso, a opporsi è in primis il mondo anglosassone, quello che ha combinato i disastri maggiori e che una volta ironizzava sulla bassa redditività delle banche italiane. Chi è che ride adesso? Non è che molti guai derivano dall’attuale impostazione dell’Europa?Serve un ulteriore avanzamento della sua costruzione politica. Ma soprattutto c’è una differenza sostanziale fra l’Europa dei padri fondatori e quella di oggi: l’assenza di solidarietà. Il Fiscal compact è un insieme di misure imposte dai tedeschi, ma va esercitata pure la solidarietà. Che senso ha un’Unione in cui la Merkel concede il 6% di aumento degli stipendi pubblici mentre in Grecia, e non solo, la gente è disperata? La vera emergenza è quella sociale.È preoccupato?La crisi sta facendo pagare un prezzo pesantissimo al Welfare. Le politiche sociali sono abbandonate, il volontariato a sua volta non è sostenuto. Eppure i bisogni sociali sono aumentati e le Fondazioni cercano di farvi fronte, facendo la loro parte. Occorre puntare su un Welfare comunitario, a dimensione locale dove forte è il senso di appartenenza alla comunità, coinvolgendo risorse pubbliche, privato sociale, Fondazioni, aziende private e i singoli cittadini. Come si fa, a esempio, col programma di <+corsivo>housing<+tondo> sociale. Per questo non ha senso continuare a "picchiarci", come qualcuno cerca di fare sull’Imu e come si è fatto aumentando al 20% la tassazione sugli investimenti anche delle Fondazioni che - ricordo - mettono a reddito il patrimonio solo per poter erogare poi i rendimenti. Se questi bisogni non sono soddisfatti il Paese va alla disgregazione sociale, che è l’opposto del nostro obiettivo.Per limitare la contiguità con la politica, avete appena varato una Carta che fissa la discontinuità fra un incarico politico e la nomina in una Fondazione. Non era meglio fissare un limite preciso e valido per tutti?Quella è una carta di principii, non è lo Statuto-tipo delle 88 Fondazioni, che hanno caratteristiche molto diverse. Ma l’importante è che il principio sia applicato, come già avviene in Cariplo. E non è novità da poco, in un Paese abituato a usare un incarico come un utile "cavallo" per spostarsi da una posizione a un’altra. È anche un modo per rafforzare l’autonomia: la Fondazione non deve essere percepita come un ente di parte, altrimenti perde quella capacità di essere motore propulsore di iniziative capaci di stimolare il territorio. Non deve essere un ente passivo, a cui ci si rivolge solo per bussare a denari. E si badi che è nell’interesse della politica poter contare su altri soggetti autonomi e forti. La Carta ribadisce autonomia e terzietà delle Fondazioni come centrale, anche come strumento e modalità attuativa. E le sollecita a un’ulteriore trasparenza e rendicontazione. Però siete nel mirino anche per l’attivismo nelle nomine ai vertici delle banche. Vedasi il caso Unicredit: le Fondazioni manterranno 7 posti in Cda col 12% del capitale.Mi chiedo: dov’è il problema? Le Fondazioni sono azionisti e, al pari degli altri, hanno tutti i diritti a tutelare gli investimenti. Bisogna dare una valutazione sul risultato. E chiedersi: la scelta fatta - per Giuseppe Vita a Unicredit, come prima per Tommaso Cucchiani a Intesa, dove Cariplo pesa per il 5% - è utile, risponde a requisiti di managerialità efficiente, oppure è grettamente egoistica e corporativa? Accusarci di essere autoreferenziali è generico. Le Fondazioni meritano una sanzione se fanno cose che non sono nell’interesse della banca. Tre anni fa il Tesoro, con Tremonti ministro, fece un’indagine sulla gestione dei nostri patrimoni e non trovò nulla da eccepire. Noi abbiamo garantito stabilità al sistema creditizio e senza un euro di soldi dei contribuenti, al contrario di quanto avvenuto in Germania, Regno Unito e negli Usa. E ricordo che le nostre due maggiori banche sono state create dalle Fondazioni prima che ce lo imponessero le leggi Amato e Ciampi. La foresta pietrificata è stata disboscata prima.E le banche stanno sostenendo il credito? La Marcegaglia dice di no.Le imprese si lamentano sempre. Ma poi leggo anche che le associazioni territoriali firmano spesso accordi con le banche, per non dire della moratoria promossa dall’Abi. Piuttosto a creare problemi al sistema è stata l’autorità europea Eba, la quale, imponendo alle nostre banche di svalutare i titoli pubblici italiani che avevano in portafoglio, le ha costrette a nuove capitalizzazioni: le Fondazioni li hanno sottoscritti perché siamo azionisti responsabili che guardano all’interesse del Paese.