Economia

Tlc. Fuggetta: "Gli operatori siano separati"

Luca Mazza martedì 1 settembre 2020

Alfonso Fuggetta, direttore del Cefriel

"Non siamo all’anno zero, ma indubbiamente l’Italia deve accelerare il processo di costruzione delle infrastrutture per garantire una connettività adeguata a famiglie e imprese e in modo tale da favorire uno sviluppo economico, sociale e culturale del Paese". Alfonso Fuggetta, docente di Informatica al Politecnico di Milano e direttore del Cefriel (centro di eccellenza per innovazione, ricerca e formazione nell’Information & Communication Technology) mette in fila priorità e criticità del piano in corso nel settore delle Tlc per garantire una fibra ultraveloce.
Quali sono gli ostacoli principali in questo percorso?
Anzitutto va detto che ci sono attori diversi in campo, in quanto bisogna distinguere tra operatori fornitori all’ingrosso (Open Fiber) che affittano la rete fisica, operatori retail che la offrono sul mercato e operatori verticalmente integrati (che svolgono entrambi i servizi, per esempio Tim). Ecco, in base al numero e alla natura dei soggetti e alle variabili in gioco va studiato l’assetto migliore.
Quali sono le differenze tra le tecnologie di Tim e quella di Open Fiber. La "convivenza" può creare problemi?
La tecnologia FTTC (fiber-to-the-cabinet), fibra fino al l’armadio, della rete Tim è una soluzione che funziona se il rame è corto (se è lungo o deteriorato offre prestazioni simili a quelle dell’Adsl) ma in un certo senso nel medio periodo preserva gli investimenti fatti finora. La rete FTTH di Open Fiber è invece più moderna, orientata al futuro con costi iniziali rilevanti ma spese più basse di gestione. Diciamo che aldilà dei problemi tecnici un lavoro comune potrebbe sottintendere la volontà di gestire insieme la fase di transizione.
Sarebbe favorevole a una governance pubblica?
Il tema cruciale è quello della separazione. Deve essere chiaro chi fa cosa: operatori wholesale e retail. La stessa distinzione, per capirci, che c’è attualmente in campo energetico tra Terna ed Enel, tanto per fare un esempio. Il punto essenziale, dunque, è la neutralità. Che si può garantire anche attraverso l’istituzione di un’autority e prevedendo meccanismi di controllo forti e stringenti, non necessariamente con una governance pubblica. Il controllo o meno dello Stato di una società dipende da troppe variabili concrete, per cui diventa impossibile dire sì o no in astratto. Anche, se a mio avviso, in linea di massima le soluzioni il più possibile di mercato sono preferibili.
Quale intervento potrebbe garantire lo Stato indipendentemente dalla governance?
Dal momento in cui la diffusione capillare in tutto il Paese della banda larga non viene garantita solo da capitali privati, un intervento pubblico per lo sviluppo dell’infrastruttura è auspicabile e opportuno. Discorso valido ancora di più se l’obiettivo è accelerare su questo fronte.
Ma è davvero un investimento necessario? Non basta il 5G?
Il mobile rispetto al fisso – l’abbiamo constatato durante il lockdown – ha vincoli che derivano dal fatto che il mezzo di trasmissione è l’etere. Per cui il 5G porterà un grande aumento di capacità, ma non potrà mai supplire alle prestazioni garantite dalla fibra per imprese e abitazioni. Fibra e 5G non sono reti alternative, bensì complementari: servono entrambe a seconda dell’utilizzo.
Quali vantaggi avrebbe l’utente dalla rete unica?
Più che di rete unica parlerei di rete diffusa, perché in realtà può esserci anche più di un operatore a livello wholesale. E comunque la competizione sarebbe garantita da tanti possibili soggetti retail pronti a offrire il servizio all’utente finale. Per quest’ultimo il principale beneficio sarebbe quello di poter contare su connessioni più stabili, efficienti e affidabili di quelle attuali e di cui abbiamo bisogno nelle case, negli uffici e nelle scuole.