Economia

Innovazione. Fiumi di acquaponica per la nuova Agricoltura 2.0

Daniele Garavaglia sabato 15 ottobre 2016
Metti una sera a cena una grigliata di pesce e un’insalatina coltivata nell’acqua 'fertilizzata' in modo naturale e organico dalle deiezioni dei pesci allevati… e avrai il business dell’acquaponica, ovvero l’integrazione tra acquacoltura e idroponica. L’idea, che utilizza anche una tecnologia brevettata in Usa, sta sbocciando in Italia grazie a un imprenditore romano, Davide Balbi, amministratore della società Impatto Zero, con sedi a Cassino e a Lodi, e promotore del brand Agricoltura 2.0 (www.agricoltura2punto0.it). «Mi sono sempre occupato di green economy e quando il governo Monti ha chiuso il rubinetto degli incentivi per le rinnovabili, mi sono chiesto quale potesse essere un ambito da sviluppare nel campo dell’eco-sostenibilità. Sul mio tavolo è tornato il dossier dell’acquaponica e ho colto questa opportunità, mettendo a punto il progetto Agricoltura 2.0 che ha vinto il bando Alimenta2Talent lanciato dal Parco tecnologico padano». Il sistema funziona sfruttando lo stesso principio della concimazione dei campi con il letame: «Nel caso della coltura acquaponica, le piante sono disposte in supporti fuori terra di diversa concezione (possono essere elementi sospesi, zattere galleggianti, canaline, strutture verticali a rotazione, ndr), integrate a vasche di allevamento di specie ittiche, le cui deiezioni, ricche di azoto, ammonio ed ammoniaca, si trasformano in nitriti e nitrati, diventando il nutrimento per eccellenza dei vegetali coltivati», spiega Balbi. Che sottolinea i grandi vantaggi sia ecologici sia economici di questo sistema autoregolante, con cui si produce cibo organico e realmente biologico: riduzione del 90% del consumo di acqua, abbattimento del 70% dei consumi energetici, eliminazione di fertilizzanti e additivi chimici. E poi: «Le piante crescono fino al 50% più velocemente rispetto ai metodi di coltivazione tradizionali, il periodo di fruttificazione si allunga da 8 a 10 volte in più e il ritorno dell’investimento si riduce a 2-3 anni, rispetto agli 8 che in media richiede lo sviluppo di una produzione agricola convenzionale».  Ma il vero punto di forza di questo progetto è il concetto di 'farming on demand', ovvero l’accorciamento della filiera tra produttore e consumatore: «Stiamo promuovendo l’opportunità per aziende agricole, cooperative di giovani, ristoratori e persino comunità locali di investire dai 40mila euro in su nella creazione di impianti acquaponici diffusi, anche di utilizzo domestico, ridando ai consumatori una sorta di 'sovranità alimentare' in piena sicurezza», aggiunge Balbi. Già, perché nel nostro Paese le specie proposte sul mercato sono piuttosto ridotte, non più di 150. E l’incidenza dei costi intermedi è sbalorditiva, assorbendo oltre il 70% del valore del prodotto: i pomodori stagionali, pagati 0,17 euro al chilo al coltivatore locale sulla piazza di Caserta, sono rivenduti al consumatore finale ad oltre 1 euro al chilo. I primi 'campi' acquaponici sono stati avviati in diverse regioni del centro e sud Italia: «Oltre alla progettazione e alla realizzazione degli impianti, forniamo consulenza per la partecipazione ai bandi regionali che erogano finanziamenti a fondo perduto», conclude Balbi.