Economia

L'ANALISI. Fiducia ancora lontana dall'economia reale

Luca Mazza venerdì 2 agosto 2013
L’Europa e l’Italia accomunate dallo stesso destino economico nei prossimi mesi. Un futuro che potrebbe tradursi con due parole: «ripresa debole». L’inversione di tendenza ci sarà nel Vecchio Continente, come nel Belpaese. Lo dicono i numeri, lo confermano principali indicatori nazionali e internazionali. E lo sostengono gli esperti. Ma vero punto è un altro: conoscere in anticipo gli impatti che avrà l’uscita dal tunnel sull’economia reale. Si tratta di un tema che può sviscerato attraverso le risposte ad alcuni interrogativi-chiave.Quanto durerà il passaggio da una crescita con il freno a mano tirato a una vera volata? Quando si assisterà alla risalita dei consumi interni? Quando il mercato occupazionale riaprirà le porte del lavoro ai giovani? E quando le Pmi italiane riusciranno a recuperare il terreno perso in questi anni con i principali competitor dell’Unione e dei Paesi emergenti?
La variabile della liquiditàPer rispondere a queste domande occorre valutare con attenzione i segnali arrivati da più parti nelle ultime settimane. «C’è uno iato evidente tra i dati Istat sulla disoccupazione o sul Pil (che non lasciano intravedere spiragli positivi nel breve termine), e gli indicatori di prospettiva – sostiene Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma –. Questi ultimi contribuiscono a creare un clima di fiducia, perché ci dicono che la tempesta è finita e che il cielo si appresta a tornare sereno».Tra gli indizi più incoraggianti De Nardis ricorda anche il giudizio dell’Ocse di poche settimane fa. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, analizzando le prospettive di crescita dei Paesi avanzati, ha registrato per l’Italia il maggior incremento sul superindice previsionale Cli: più 0,27% a maggio rispetto al mese precedente, a fonte di un dato medio del più 0,08%. «Più fiducia, però, non significa maggiore occupazione e consumi in salita – aggiunge De Nardis –. Lo stesso discorso vale per la zona euro. Mario Draghi ieri ha rassicurato su una fase recessiva ormai alle spalle, ma se avesse la certezza dell’avvio di una crescita sostenuta in tempi rapidi avrebbe annunciato un rialzo dei tassi di interesse. Invece non l’ha fatto, confermando in sostanza una politica di stimolo monetario che è tipica delle economie deboli». Le parole del governatore della Bce sono quelle di chi osserva dei miglioramenti ma si mantiene cauto «anche a fronte dei problemi di credit crunch che si sono presentati in diverse aree».
I vantaggi per chi esportaNella zona euro, Andrea Monticini, docente di Economia monetaria all’università Cattolica, si attende una crescita a due velocità: «Da una parte ci sarà la Germania che guiderà il gruppo di chi procederà a passo spedito, mentre dall’altra ci saranno i Paesi lumaca come Italia, Spagna e Portogallo». Molti indicatori che anticipano il ciclo economico lasciano intravedere un cambio di passo ma l’esperto vede una svolta vigorosa non prima della seconda metà del 2014: «Per le imprese italiane ci sarà un’andatura diversa a seconda dei comparti – prevede Monticini –. Riuscirà a cavalcare meglio l’onda della ripresa l’industria che esporta. La meccanica strumentale, la moda, l’agroalimentare saranno i comparti che si riprenderanno meglio dalla crisi e dove magari si possono creare maggiori opportunità lavorative per i giovani». La domanda interna, invece, resterà debole. «Se Paesi periferici come l’Italia consumano troppo – sostiene il docente –, l’Europa rischia di riprecipitare nei vecchi squilibri che hanno portato in questi anni alla recessione di alcuni Paesi, allo scoppio del debito sovrano e all’impennata dello spread. Una situazione causata dall’assenza di un’Unione politica e fiscale ma solo monetaria». L’indice Pmi che dopo due anni a luglio sfora quota 50 va interpretato come un altro timido risveglio. E va ad alimentare le speranze di ripresa del settore strategico dell’economia italiana: il manifatturiero. «Il clima di fiducia delle imprese va giudicato da tre elementi: il giudizio sugli ordini, le aspettative future di produzione e l’ammontare delle scorte – afferma De Nardis –. l primi due fattori sono migliorati negli ultimi mesi ed è la dimostrazione che i motori si stanno per riaccedere, la velocità di crociera si capirà solo strada facendo».