Economia

Scenari. La guerra al diesel deprime mercato e occupazione

Alberto Caprotti sabato 21 aprile 2018

Prima ancora che il suo utilizzo venga limitato in alcuni Paesi europei, la campagna contro il diesel per una mobilità meno inquinante sta già creando i suoi primi effetti. Secondo i dati diffusi da Acea, in un mercato automobilistico che a marzo nel complesso dei Paesi dell’Unione europea allargata ha perso il 5,2% delle immatricolazioni rispetto allo stesso mese di un anno fa, si è registrato infatti un pesante ridimensionamento (addirittura -18%) delle vetture alimentate a gasolio. Ora la quota delle vetture nuove diesel immatricolate è sceso al 39% sul totale, contro il 47% di gennaio-marzo 2017. Il fenomeno è meno marcato in Italia, dove comunque il diesel a marzo ha perso il 9%.

Secondo alcuni analisti «la demonizzazione del diesel potrebbe cominciare ad indurre i moltissimi automobilisti che posseggono una vettura a gasolio pronta ormai per la sostituzione a rinviare l’acquisto della nuova auto», come spiega Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, «e ciò essenzialmente per valutare le alternative al diesel che, tra l’altro, comportano tutte costi di esercizio più elevati». Se questa ipotesi trovasse conferma, «dovremmo rivedere tutte le previsioni sulle immatricolazioni in Europa per il 2018».

Ma la marcia di avvicinamento all’addio al gasolio sta già comportando conseguenze anche sul piano dell’occupazione. Il Gruppo Jaguar-Land Rover, il più grande costruttore automobilistico britannico, sarebbe pronto ad annunciare il taglio di circa 1.000 posti attualmente occupati da lavoratori con contratti a termine per affrontare la riduzione delle vendite di modelli diesel e le incertezza di mercato legate alla Brexit. Jaguar-Land Rover ha dichiarato che sta invece continuando ad assumere ingegneri da impiegare sullo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie alternative. Anche in Italia, dopo l’indiscrezione riportata dal Financial Timessecondo il quale il Gruppo Fiat-Chrysler rinuncerà ai modelli con motorizzazione diesel dal 2022 – indiscrezione sinora mai confermata, ma neppure smentita, da Fca – i sindacati guardano fin da ora con preoccupazione ai 3.000 lavoratori delle due fabbriche del Gruppo che producono motori a gasolio, a Cento nel Ferrarese e a Pratola Serra, in provincia di Avellino.

L’Inghilterra e la Germania sono i Paesi dove la transizione per togliere dalle strade i veicoli più inquinanti comporta le scelte più difficili. In Gran Bretagna con l’inizio del nuovo anno fiscale (1 aprile) sono entrate in vigore le aliquote modificate per le tasse integrative sulle auto con motore diesel. Così ogni nuova vettura sarà soggetta ad una tassa del 4% (invece del 3% precedente): da questa nuova imposizione sono esentati i modelli con omologazione Euro 6d, che comunque non sono al momento ancora in vendita. Più morbido l’approccio tedesco: un forte declino di questa tecnologia, sottolinea un report di Bloomberg, potrebbe infatti portare a problemi di occupazione nel Paese, dove oltre 800mila persone dipendono direttamente dall’industria dell’automotive. L’idea del ministro dei Trasporti Andreas Scheuer, evidentemente supportata da Angela Merkel, è quella di creare con il sostegno dei costruttori tedeschi un fondo per sostenere la rottamazione dei diesel più vecchi e per aggiornare il software di quelli più recenti (Euro 5) che hanno la potenzialità di essere “puliti” come gli Euro 6. Stephan Weil, che guida il land della Sassonia dove ha sede la Volkswagen, ha ipotizzato un budget di 1 miliardo di euro, ma da più parti, come ha riportato il magazine Der Spiegel, la contribuzione richiesta ai tre grandi Gruppi tedeschi Bmw, Mercedes e Volkswagen potrebbe arrivare a 5 miliardi, per sostenere non solo l’eliminazione delle auto più inquinanti ma anche i provvedimenti da prendere localmente per migliorare la qualità dell’aria.