Economia

Bce. Draghi è pronto a rivedere il Quantitative Easing

Giuseppe Pennisi giovedì 26 ottobre 2017

Oggi si riunisce a Francoforte il consiglio della Banca centrale europea. All’ordine del giorno ci impone soprattutto un tema: se e come far cessare le politiche monetarie 'non convenzionali' (conosciute come Quantitive Easing) tanto volute e difese dal presidente della Bce Mario Draghi. Alcune proposte suggeriscono un tapering off graduale (una sorta di «retromarcia ») nell’arco di diversi mesi, ora che il tasso d’inflazione nell’Eurozona sfiora il 2% l’anno (secondo il metodo usato dalla Bce). Inoltre, il rialzo dell’euro (rispetto al dollaro Usa) si è fermato: il cambio effettivo sembra essersi stabilizzato intorno alla media di lungo periodo (1999-2017). Non c’è, quindi, alcun bisogno di contrastare il temuto conseguente irrigidimento delle condizioni monetarie e finanziarie. Ci sono sussurri secondo i quali lo stesso Draghi sarebbe convinto che sia giunto il momento del tapering off, che sarebbe l’argomento centrale della conferenza stampa al termine della riunione. Sullo sfondo c’è la successione a Mario Draghi, il cui mandato scade tra due anni: il programma straordinario 'QE' è stato l’aspetto centrale della sua presidenza e Draghi ne viene considerato, a ragione od a torto, l’autore anche se un QE ben più forte è stato attuato delle autorità monetarie americane e bancarie, anche al fine di 'salvataggi' delle grandi banche. Dunque, non mancano recenti, e recentissimi, studi che valutano il QE all’europea.

Il più fresco, non ancora stampato, ma la cui versione telematica, messa online la settimana scorsa, è stata senza dubbio letta dai servizi studi delle banche centrali nazionali e in particolare dai loro rispettivi Presidenti o Governatori è il lavoro 'Did ECB Liquidity Injections Help the Real Economy?' (Le iniezioni di liquidità da parte della Bce hanno aiutato l’economia reale?) Ne sono autori Stine Louise Daetz della Banca Nazionale Danese e della Copenhagen Business School, Martin G. Subrahmayan della New York University, Dragon Yongkun Tang della University di Hong Kong e Sarah Qian Wang della University di Warwick. Ossia il fior fiore dei 'giovani leoni' di quel ramo della finanza più sensibile ai temi dell’economia reale. Una lettura tecnica ma molto illuminante. E molto dura sul QE che avrebbe reso più lievi i problemi della banche (causati, in gran parte, da cattiva gestione) ma non sarebbe giunto alle imprese, quindi alla produzione ed all’occupazione. Meno severi Dominic Quint della Bundebank e Pau Rabanal del Fondo monetario internazionale i quali, in un lavoro diffuso ieri, si chiedono se «le politiche monetaria non convenzionali dovessero diventare convenzionali».

Lo diffonde la Bundesbank, come Discussion Paper n.28/2017, non il Fondo monetario. Una scelta 'editoriale' non banale. Concludono sulla base di dati non limitati all’Eurozona, che in periodi di crisi il Q.E. e simili misure portano mediamente ad un aumento dei consumi dell’1,45% (complessivamente non per anno) mentre non hanno alcun effetto in fasi di shock di breve periodo di domanda ed offerta. In parallelo, Richard Harrison della Bank of England ha diffuse, sempre ieri, un lavoro analitico sul QE «ottimale» e come uscirne (Bank of England Working Paper No. 678). In breve nell’Eurozona la misura ha dato tutto ciò che può dare ed è giunto il momento di «un’uscita graduale».