Economia

Gender gap. In Italia un quinto delle donne lascia il lavoro dopo il parto

Maurizio Carucci mercoledì 10 gennaio 2024

L'Italia all'ultimo posto in Ue per il tasso di occupazione femminile

Meno pagate rispetto ai colleghi. Spesso precarie e in settori poco strategici. Con a disposizione pochi servizi che le aiutino a conciliare vita e lavoro. In Italia per le donne il mondo del lavoro è ancora caratterizzato da molte difficoltà (nonostante i dati positivi dello scorso novembre diffusi ieri dall'Istat). Tanto che una su cinque finisce per lasciarlo dopo essere diventata madre. E il nostro Paese si posiziona fanalino di coda nell'Unione Europea per il tasso di occupazione femminile. Il quadro emerge da un dossier del Servizio studi della Camera, che rileva «una serie di profili critici». Innanzitutto, visto nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia «risulta essere - secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 - quello più basso tra gli Stati dell'Ue, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media» (il 55%, a fronte del 69,3% dell'Ue).

Guardando poi alla situazione nazionale si registra «un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro»: le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro i 13 milioni di maschi occupati. Inoltre, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: un aspetto che, si fa notare, «riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa». La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà delle donne (52%), da esigenze di conciliazione e per il 19% da considerazioni economiche. L'istruzione, tuttavia, «si conferma fattore protettivo per l'occupazione delle donne con figli piccoli»: con un livello di istruzione più elevato, infatti, la differenza occupazionale tra madri e non madri è molto bassa.

Ma l'occupazione femminile è caratterizzata anche da «un accentuato divario retributivo di genere». Secondo i dati Eurostat, il divario retributivo medio (la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%), mentre quello complessivo (la differenza tra il salario annuale medio) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%). Nel 2022 la retribuzione media annua è risultata «costantemente più alta» per gli uomini, evidenzia lo studio citando i dati dell'Inps: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne, con una differenza di 7.922 euro. Dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49%delle donne occupate (contro il 26,2% degli uomini). Da registrare, infine, criticità sul fronte dei servizi che potrebbero aiutare le donne a conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro, come l'assistenza all'infanzia: l'offerta dei nidi risulta in ripresa dopo la pandemia (+1.780 posti), «ma le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno». Con una penalizzazione maggiore per le «famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese».

La parità comincia dal colloquio di lavoro

Le domande rivolte a uomini e donne in un colloquio sono diverse? Sì. Ad ammetterlo oltre il 60% delle aziende intervistate nello studio di Gi Group Holding promosso con Fondazione Gi Group Women: superare le disparità di genere per un futuro del lavoro sostenibile. Uno dei quesiti maggiormente “riservati” alle donne? Quello riguardante le “prospettive di genitorialità”, riportato da oltre una donna intervistata su cinque, nonostante il nostro ordinamento vieti espressamente di indagare questo aspetto durante i colloqui di selezione. «Il dato raccolto ci ha particolarmente colpiti. La diffusione di questa prassi lascia intuire come ancora oggi molte aziende, almeno fra quelle rispondenti ma temo non solo fra loro, non utilizzino, o non siano a conoscenza, di pratiche e tecniche di selezione gender-bias free per ridurre l’impatto degli stereotipi di genere in fase di selezione - commenta Rossella Riccò, responsabile Centro Studi Odm Consulting –. Fra le barriere all’occupazione delle donne la maternità (effettiva o desiderata) emerge come una delle criticità principali. Questa viene ancora oggi vista da molte imprese come un costo “aggiunto” ed è accompagnata dal timore di una “minor produttività” o di abbandono dell’attività lavorativa da parte delle neo mamme. Lo evidenziano anche i dati Istat: in Italia le donne madri sono soggette ad un evidente “svantaggio occupazionale”, soprattutto se in presenza di figli in età prescolare. Il tasso di occupazione delle donne che hanno tra i 25 e i 49 anni passa dal 71,9% per le donne senza figli al 53,4% per quelle che hanno almeno un figlio di età inferiore ai sei anni». Lo studio di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group propone quindi delle misure che persone, organizzazioni e istituzioni possono mettere in atto per superare le disparità di genere e rendere più la realtà lavorativa più inclusiva ed equa. Per esempio, con riferimento ai processi di selezione, le aziende possono:
• Formare recruiter e selezionatori sull’impatto dei bias di genere su tali processi e sulle tecniche adottabili per ridurne l’effetto;
• Adottare processi di recruitment e selezione basati su criteri misurabili, trasparenti ed equi;
• Creare job description e relativi annunci ponendo attenzione alla loro formulazione, per esempio non includere pronomi, ma utilizzare espressioni come “il/la candidato/a ideale” e specificare sempre che ci si rivolge a entrambi i sessi;
• Pubblicare gli annunci sulle piattaforme online o i canali digitali e condividere gli annunci con associazioni o gruppi locali di donne;
• Definire quote di genere sia per le short-list delle candidature, sia per la selezione di nuove figure, soprattutto in ruoli/mansioni ad alto tasso di gendergap;
• Analizzare e rimuovere l’influenza dei bias di genere (e intersezionali) nella programmazione dei sistemi di intelligenza artificiale o nelle Learning Machine applicate allo screening dei cv o alle selezioni online;
• Svolgere la fase di selezione dei cv per la creazione delle short-list dei candidati con modalità blind, in cui tutti gli indicatori personali (nome, genere, età, esperienza di lavoro, background educativo…) vengono rimossi in modo da scegliere i candidati solo in base alle skill;
• Utilizzare un elenco di domande standardizzate uguali per tutti i candidati e le candidate per la posizione aperta e proposte nello stesso ordine, così da assicurare che ogni candidato/a abbia la stessa opportunità di esporre le proprie qualifiche indipendentemente dal genere;
• Stipulare accordi con le Agenzie per il lavoro e i Centri per l’impiego impegnati in progetti di riqualificazione o di re-inserimento al lavoro di donne disoccupate o inoccupate;
• Stipulare accordi di partenariato per l’attivazione di tirocini o stage formativi con scuole, Università, enti di formazione del territorio e partecipazione ai career day.

Come promuovere l'occupazione femminile

La parità di genere non è più soltanto un tema sociale, ma anche un’urgenza di natura economica, per questo motivo è fondamentale intraprendere alcune misure per favorire l’uguaglianza tra donne e uomini sul luogo di lavoro. Lo sanno bene gli amministratori delle oltre 30 aziende operanti sul mercato italiano che si sono riuniti a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, per prendere parte all’evento Il dilemma della diversità, dell'equità e dell'inclusione: destinato all'irrilevanza o cruciale per la strategia aziendale? promosso da Edge Certified Foundation, la Fondazione che detiene la metodologia di certificazione della diversità, l’equità e l’inclusione (Dei) sul luogo di lavoro, in collaborazione con Valore D, associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere e la diffusione di una cultura dell’inclusione. Hanno partecipato all’incontro grandi realtà quali Lavazza, UniCredit e Banca d’Italia insieme con numerosi ceo di aziende operanti in Italia, che rappresentano collettivamente una forza lavoro di oltre 120mila dipendenti e generano un fatturato complessivo di più di 33 miliardi di euro, oltre il 2% del Pil italiano. Le aziende, infatti, sono le prime a mettersi in gioco per avanzare la Dei sul luogo di lavoro. Secondo i dati del World Economic Forum, nel 2020 in tutto il mondo le aziende hanno investito 7,5 miliardi di dollari per le iniziative legate alla diversità, all'equità e all'inclusione e si prevede che questa cifra raddoppierà fino a 15,4 miliardi di dollari entro il 2026. Investimenti che ripagano. Da quanto emerge dalle ricerche di Harvard Business Review, le aziende che promuovono la Dei in azienda registrano un miglioramento di due volte dei margini Ebit, di due volte del rendimento totale per gli azionisti e di 1,5-3 volte della crescita dei ricavi. La strada per la piena parità in Italia è ancora lunga. Nel primo semestre del 2023 nel nostro Paese, secondo quanto rilevato da Istat, il tasso di occupazione femminile era pari al 52,6%, a fronte del 70,6% dei coetanei uomini, per questo non sorprende che nella classifica stilata dal Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum l’Italia si sia posizionata al 79esimo posto su 146 nazioni. A livello globale ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità, 162 anni per colmare il divario nell'emancipazione politica, 169 anni per il divario nelle opportunità economiche e 16 anni per il divario di genere nel livello di istruzione. Se guardiano all’Ue, possiamo notare che in media le donne lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno all’ora rispetto agli uomini – una percentuale che scende al 5% se consideriamo solo l’Italia. Tuttavia, nel nostro Paese, la forbice retributiva aumenta con l’avanzamento della carriera. Secondo i dati di Badenoch + Clark, che ha analizzato i compensi dei componenti dei Cda delle società quotate italiane, man mano che le donne salgono nella scala aziendale, la loro rappresentanza diminuisce e il divario retributivo cresce. Tra i vertici apicali esecutivi la differenza delle retribuzioni è del 77%, con una media di 754.754 euro per gli uomini e 426.584 euro per le donne. Per i ruoli non esecutivi, il divario si riduce al 47%, mentre la retribuzione complessiva diminuisce. Considerazioni che hanno avviato una conversazione tra i ceo, anche in relazione alle nuove generazioni che scelgono le aziende sulla base dell’impegno dimostrato verso i temi legati all’inclusione. Il 75% dei candidati della Generazione Z, infatti, ha dichiarato che riconsidererebbe l'opportunità di candidarsi presso un'azienda se non fosse soddisfatto dei suoi sforzi in materia di Dei.

Il Manifesto per l'occupazione femminile

Il Manifesto per l’occupazione femminile è realizzato da Valore D, l’associazione di oltre 200 imprese operanti in Italia, impegnata da più di dieci anni nella promozione di una cultura inclusiva. Stilato nel 2017, è un documento programmatico che si articola in nove punti e rappresenta uno strumento concreto al servizio delle aziende che hanno deciso di sottoscriverlo con lo scopo di valorizzare la diversità di genere all’interno della propria organizzazione. I nove punti vanno dalla valorizzazione delle diversità di genere al riconoscimento dell’importanza delle competenze Stem (science, technology, engineering e mathematics), dal monitoraggio della presenza femminile e del pay gap all’individuazione di misure di supporto alla maternità, dalla valorizzazione del ruolo genitoriale alla promozione di politiche di welfare, dalla implementazione di modalità di lavoro flessibile alla promozione dell’accesso delle donne alle funzioni manageriali, fino alla sensibilizzazione del management alle tematiche relative alla diversità di genere. Grazie al continuo confronto con gli associati, Valore D ha potuto recensire e monitorare l’implementazione e l’evoluzione di oltre 1.000 buone prassi sui temi della diversità di genere, dell’occupazione e della crescita professionale femminile. Un osservatorio privilegiato che ha permesso la redazione di un Manifesto per l’occupazione femminile, come impegno programmatico condiviso dalle aziende.

Il sostegno all'imprenditoria femminile

Underdogs Group, Mad-Tech Company che opera attraverso un gruppo di società di consulenza e servizi innovativi (ne fanno parte realtà quali Lhub, Blhack, Fruit Salad, StarWave, JotUrl, Affilify e Wave Leads), è partner di Women in Action, il nuovo programma di accelerazione al femminile di Ventive e LifeGate Way, l’ecosistema di start up sostenibili di LifeGate. Il team di Underdogs infatti, oltre a essere parte della giuria selezionatrice, offrirà un programma di mentorship ai cinque team che risulteranno beneficiari dell’accelerazione. Women in Action è il programma di accelerazione nato per supportare l’incremento e lo sviluppo dell’impresa femminile in Italia. Nato in seno a LifeGate Way ovvero il polo d’innovazione italiano che mette in relazione start up sostenibili con i protagonisti del cambiamento, vede anche il supporto del Native, Venture Capitalist. Alla selezione per cinque startupper meritevoli, potranno candidarsi sia start up già esistenti, che team di studentesse dalle idee promettenti, ma anche singole neo-imprenditrici. Le candidature saranno aperte sino al 15 febbraio 2024. «I numeri per quanto riguarda l’imprenditoria al femminile in Italia non sono purtroppo positivi e questo rappresenta una grave perdita per tutto il tessuto economico. È innegabile l’Italia stia perdendo una grossa porzione del proprio potenziale non supportando il lavoro femminile», commenta Andrea d’Aietti, co-fondatore di Underdogs. Sebbene infatti le donne rappresentino una fetta preponderante del capitale intellettuale del Paese (il 57,1% dei laureati e il 55,4% degli iscritti a un percorso universitario nell’ultimo anno è donna) faticano non solo ad affacciarsi al mondo del lavoro, ma anche a ricoprire un ruolo apicale: in Italia solo un imprenditore o libero professionista su quattro è donna, lo è solo il 27% del totale dei dirigenti italiani, valore che ci colloca nella parte bassa della classifica dell’Ue, inoltre solo il 12,6% delle start up italiane può contare su una donna al vertice. E proprio dalla necessità di cambiare positivamente questo scenario - e al contempo premiare l’impegno nella sostenibilità è nato Women in Action. I team selezionati per l’accelerazione prenderanno parte a un programma di sviluppo completo, dalla parte ideativa fino all’immissione del prodotto o servizio sul mercato. In questo contesto si inserisce il contributo di Underdogs, una realtà multidisciplinare che come partner dell’iniziativa offrirà alle vincitrici un percorso di mentorship della durata di tre mesi, sui temi dell’imprenditorialità e dell’innovazione. Ogni fase della nascita e della vita della startup ha infatti bisogno del supporto di figure specializzate, con competenze verticali, che guidino le scelte imprenditoriali, dalla compilazione del business model sino alla scelte comunicative. Ad affiancare i team selezionati ci sarà quindi una squadra di professionisti. Il compito dei mentor sarà quello di guidare le startupper lungo le difficili e complesse decisioni del “fare azienda”. Il percorso di affiancamento sarà completamente personalizzato, sviluppato lungo le necessità di ogni singola realtà.

Il riconoscimento del talento femminile
Nel contesto di un evento ricco di contenuti e di emozioni, vengono da tutta Italia le 13 studentesse vincitrici premiate a Milano in occasione della VII edizione del Premio Valeria Solesin, concorso rivolto a laureande e laureandi di tutte le Università italiane, pubbliche e private, ispirato agli studi della giovane ricercatrice veneziana, tragicamente scomparsa nell’attentato del Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015. Anche quest’anno il comitato scientifico ha assegnato i riconoscimenti alle tesi che hanno saputo distinguersi per originalità e rigore scientifico nell’affrontare il tema de Il talento femminile come fattore determinante per lo sviluppo dell’economia, dell’etica e della meritocrazia nel nostro Paese. Diversi, come da tradizione del Premio, gli ambiti di studio: da quello sociologico a quello politico-economico, da quello psicologico a quello giuridico, fino agli studi di ingegneria. «Il Premio Valeria Solesin ci dà ogni anno l'occasione di riconoscere il merito di giovani talentuosi, che sono così poco valorizzati nel nostro Paese, da cercare spesso opportunità di realizzazione altrove - dichiara Maria Cristina Origlia, presidente del Forum della Meritocrazia -. Come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso del 2 giugno scorso, abbiamo un debito verso di loro. Il modo migliore per estinguerlo è costruire un mercato del lavoro equo e meritocratico, degno di una democrazia avanzata. Non farlo, significa rassegnarsi a un sistema basato sulle relazioni e sul clientelismo, in cui abbiamo tutti da perdere». «È con grande emozione e orgoglio che ho dato il via alla premiazione della settima edizione del Premio Valeria Solesin, che ha visto protagoniste le 13 ragazze vincitrici di questa edizione, che portano a 86 i giovani premiati nell’arco delle sette edizioni, su un totale di oltre 200 tesi candidate, per un montepremi complessivo di oltre 230mila euro. Il mio ringraziamento va alle oltre 20 aziende e organizzazioni sostenitrici che nell’arco di questi anni hanno sostenuto il Premio, alle istituzioni che ci concedono il loro prestigioso patrocinio e a tutte le associazioni, le organizzazioni e le persone che contribuiscono anno dopo anno alla realizzazione di questo ambizioso progetto, permettendoci di mantenere il nostro impegno a dare voce ai giovani sul tema della parità di genere, tema cruciale per costruire un mondo migliore per tutti, donne e uomini», ricorda Paola Corna Pellegrini, vice presidente del Forum della Meritocrazia. «Mai come in questo momento, nel celebrare questa giornata e queste giovani studentesse, sentiamo la responsabilità e l’orgoglio di continuare a sostenere un’iniziativa importante come il Premio Valeria Solesin. Giunto alla sua VII edizione, il Premio oggi rappresenta un interessante osservatorio, che ogni anno si arricchisce di nuovi e preziosi lavori, spunti di riflessione, nuove consapevolezze e prospettive di analisi sulla parità di genere. Con il Premio vogliamo tramandare l’eredità morale di Valeria, la sua volontà di contribuire a costruire un domani più equo, inclusivo, in cui non ci sia spazio per il pregiudizio, la discriminazione, la disparità di genere, ma in cui talento e merito possano affermarsi liberamente, a vantaggio di tutti», conclude Caterina D’Apolito, Head of Communications & Sustainability di Allianz Partners Italia.