Economia

IL TESORO «NASCOSTO». Cultura, il patrimonio che l’Italia non sfrutta E la «cassa» piange

Luigi Marsiglia mercoledì 11 settembre 2013
Il brand della Tour Eiffel, ovvero l’immagine del monu­mento spendibile sia come richiamo turistico che co­me traino per un’eventuale campagna promozionale, sfiora i 440 miliardi di euro. Mentre quello del Colosseo va­le cinque volte meno, superando di poco i 90 miliardi. La Sa­grada Familia di Barcellona raggiunge anch’essa i 90 miliar­di, contro gli 82 del Duomo di Milano, metropoli il cui mar­chio si attesta su un valore complessivo di 'appena' 270 mi­liardi.
È quanto fotografa la ricerca svolta nel 2012 dalla Si­mon Anholt Brand Index. Ma a che cosa è dovuto l’appeal turistico della torre progettata dall’ingegner Gustave Eiffel e inaugurata in occasione dell’Esposizione Universale del 1889 (in attesa delle tre torri grattacielo di Milano realizza­te per Expo 2015), rispetto alla classicità secolare dell’Anfi­teatro Flavio? Certo, dietro la prima si erge tutta la spensie­rata bellezza di Parigi, capitale della Belle Époque; e attor­no al secondo si espande la mae­stosità senza tempo della Città e­terna. Entrambi luoghi inimitabili, meta di un turismo culturale che non conosce sosta. Eppure, cosa manca al Colosseo e agli altri mo­numenti italiani per balzare ai pri­mi posti nella classifica, come me­riterebbero per la loro storia e sin­golarità, inseriti come sono nel contesto spettacolare dei panora­mi, umani e naturali, del Belpae­se? Ecco la questione: il contesto, ossia l’offerta che viene garantita in un frangente di massiccia globalizzazione.
Troppo spesso in Italia il turismo è ritenu­to un’industria effimera e stagionale da spremere al mo­mento, senza la lungimiranza di un flusso fidelizzato, con­tinuo e costante nel ritorno o nel ricambio generazionale, come all’epoca del 'grand tour', quando la penisola era con­siderata una tappa fondamentale per l’educazione cultura­le dei gentiluomini europei dal ’600 fino al tardo ’800. I mo­numenti italiani raramente fanno rete e ognuno 'vive' per conto proprio, in una sorta di altezzosa solitudine. Tale e quale il sistema paese, che o stenta a decollare o semplice­mente non esiste. Dai biglietti d’ingresso dei singoli musei alle infrastrutture: strade dissestate, parcheggi inesistenti, ho­tel e ristoranti dove il binomio qualità-prezzo, fiore all’oc­chiello dell’Italia enogastronomica anni ’60, segna ormai un vistoso deficit alimentando di fatto un tipo di turismo mor­di e fuggi.
Nel 2012, Roma ha accolto 15 milioni circa di vi- sitatori che si sono soffermati in media 2-3 giorni. E a farne le spese sono gli stessi monumenti che, in tempi di crisi e­sasperata, con tagli indiscriminati e noncuranze, rischiano letteralmente di cadere a pezzi. Eclatanti in tal senso i casi di Pompei o della Reggia di Caserta che, a causa innanzi tut­to dell’incuria, ha quasi dimezzato il numero di visitatori, passando da un milione all’anno a 600.000, una bazzecola in confronto dei 6 milioni e mezzo che, sul fronte francese, incassa ogni anno Versailles.
Della situazione di penosa so­pravvivenza in cui versa il gioiello di Caserta, si è reso con­to Massimo Bray, ministro per i Beni e le attività culturali e il turismo, visitando in bicicletta l’immenso parco dell’edi­ficio. Contestualizzare, significa creare dei percorsi ad hoc, inserendo il monumento in un sistema sicuro che consen­te, al turista, di percepirne l’importanza nell’ambiente cir­costante, stratificato attorno a quel simbolo. Significa pro­teggere il bene storico e il territorio, cambiando in modo ra­dicale la mentalità dell’evento unico e sensazionale da co­struire, spendendo magari cifre considerevoli, per invogliare i turi­sti a concedere ogni volta la loro fi­ducia. Occorrono meno iniziative gridate e più mostre documenta­te, che possano mettere in risalto un patrimonio immenso riposto oggi nei depositi dei musei e di­menticato.
Un’eredità storica, che tocca a noi far fruttare al meglio. A partire proprio dal dilemma che avvolge il capitolo 'cartolarizza­zioni': vendere (e che cosa, senza svendere) oppure recuperare? Nell’ultimo secolo sono sta­ti vincolati in Italia più di 51mila immobili (fonte Mibac), pa­ri a quasi 55mila chilometri quadrati, ossia il 18% del terri­torio nazionale. Una legislazione iperprotettiva, il che non è affatto un male, da adeguare però ai nostri tempi e che presenta, a volte, delle situazioni abnormi, soprattutto di carattere burocratico. Alcuni enti, vedi l’esempio della pro­vincia e del comune di Lecce, sono sempre più propensi – se non costretti – a cedere il loro patrimonio edilizio per mo­netizzare e fare cassa. Il problema è che, accanto a struttu­re di scarso interesse storico e architettonico, finiscono sul mercato edifici di inestimabile valore. Un vero peccato, da­to che storia e arte, se bene amministrate, rappresentano u­na fonte primaria di reddito e la tanto sospirata ripresa e­conomica passa anche attraverso la valorizzazione delle ri­sorse culturali.