Economia

L'intervista. Costalli: giovani e deboli al centro

Arturo Celletti domenica 17 gennaio 2016
«Il dramma dei disoccupati. Soprattutto di quelli più giovani. L’emarginazione morale di chi non ha lavoro. È vero, Papa Francesco ha ripetuto parole già dette; ma questo suo insistere sul tema è vitale, è ossigeno, è speranza». Carlo Costalli sembra ancora commosso. Pensa ai settemila militanti del movimento che non sono riusciti a trovare posto nell’Aula Nervi e hanno ascoltato il Papa in piazza. E pensa alla 'lezione' di Francesco. «Lavoro, lavoro, lavoro. Un tema sparito dalle scelte del governo e dalle politiche dell’Unione europea. L’occupazione non è più al centro della loro azione. Si pensa troppo ad altro: ai movimenti della grande finanza, ai portatori di interessi particolari, magari ai bacini di voti elettorali. E la persona passa drammaticamente in secondo piano. Quasi dimenticata». Costalli il Jobs act del governo Renzi non è stato comunque una prima risposta?Una risposta piccola, ancora parziale rispetto alle cifre sempre così drammatiche. Dal 2008 al 2014 la disoccupazione giovanile è infatti più che raddoppiata: oggi sfiora il 43 per cento. In Sicilia quattro persone su dieci vivono sul baratro della povertà assoluta. Si moltiplicano le disuguaglianze. Ora serve un nuovo scatto: la politica è decisiva e la tutela delle frange più deboli deve essere una strada obbligata. La povertà si combatte in primo luogo creando occupazione sana... Vero. Ma, in attesa dei posti di lavoro, è necessaria un’azione più forte ed energica per tamponare l’emergenza immediata: i poveri non possono aspettare, la loro stessa esistenza esige alle nostre coscienze risposte e interventi immediati. E su questo piano vedo un’azione ancora troppo debole. Il Papa dice: non prediche, ma aiuto concreto, Mcl quale contributo dà? In questi anni di crisi come movimento, pur nel nostro piccolo, abbiamo cercato di aumentare i posti di lavoro. Sono gocce rispetto al dramma dei numeri, ma comunque dei segnali. I nostri servizi fiscali e previdenziali crescono, le nostre cooperative realizzano progetti. E soprattutto si tratta di lavoro 'buono'. Penso al Papa che dice: 'Basta illegalità, basta raccomandazioni, basta scorciatoie'. Ha ascoltato l’applauso della nostra gente? Oggi l’Italia è ancora fortemente, purtroppo, il Paese delle raccomandazioni. C’è un humus storico-culturale che spinge in questa direzione. Ma la base del Paese è sana e vorrebbe un contesto diverso. Qual è la strada? Serve una classe dirigente diversa: più responsabile, più matura, più capace di scelte di prospettiva. Serve rinnovamento generazionale e morale. E questo chiama in causa il suo processo di selezione, che va cambiato e migliorato. Io voglio un’Italia Paese del merito. Dove si lavori con passione. Con impegno. Dal Parlamento fino all’ultima delle fabbriche. Dove i giovani scelgano di restare, non di scappare. Dove si arrivi al lavoro con un percorso 'pulito'. È un obiettivo possibile. Ascoltiamo il papa e camminiamo sulla strada che indica.