Economia

LE POLITICHE ATTIVE. Centri per l'impiego senza capo né fondi

Francesco Riccardi martedì 2 luglio 2013
I centri pubblici per l’impiego dovranno essere il perno delle politiche attive contro la disoccupazione. Peccato che, oltre agli annosi deficit strutturali, scontino oggi un’incertezza totale riguardo al loro immediato futuro. A lanciare l’allarme e a chiedere un rapido intervento del governo è Gianfranco Simoncini, assessore Pd al Lavoro della Regione Toscana e coordinatore della Conferenza delle Regioni per i temi dell’occupazione e della formazione.Quali rischi corrono i servizi pubblici?Dal primo gennaio prossimo non si sa a chi faranno capo e con quali fondi potranno essere finanziati. Le Province, da cui oggi dipendono i centri per l’impiego, perderanno la competenza in materia a fine anno, secondo quanto prevede la legge. Si tratta di una competenza concorrente ma non c’è certezza su quale sarà il loro assetto futuro fintanto che non verrà emanato un atto legislativo. Collegato a questo c’è il problema del finanziamento. Venendo meno la competenza delle Province mancherà anche il loro finanziamento, ma soprattutto sappiamo che ci sono difficoltà per l’altro canale di finanziamento: quello del Fondo sociale europeo. I contrasti e i ritardi sul budget comunitario faranno sì che i fondi non siano disponibili prima della seconda del 2014, addirittura non prima di novembre secondo le previsioni più pessimistiche.Che cosa si può fare allora?Come Regioni abbiamo chiesto un intervento immediato e straordinario del governo per evitare una soluzione di continuità. Sul piano generale, ho proposto un nuovo assetto di stampo federale, un nuovo "Sistema nazionale per il lavoro" basato su un’agenzia che a livello centrale elabora le strategie, coordina gli interventi e stabilisce gli standard delle prestazioni, affidata a Isfol e Italia Lavoro che fanno capo al ministero del Lavoro. A livello territoriale, invece, per cogliere meglio le specificità dei singoli distretti opererebbero agenzie regionali. Offrendo i servizi di accoglienza, orientamento, formazione e incontro domanda e offerta.Già oggi, però, il sistema pubblico, a parte alcune punte di eccellenza, appare tutt’altro che efficiente...Ci sono deficit strutturali, ma bisogna riconoscere che i centri hanno saputo reggere l’impatto enorme della crisi. Pensiamo solo alla cassa in deroga: centinaia di migliaia di lavoratori hanno dovuto far riferimento ai centri nel giro di un paio di giorni per non perdere i sussidi... Soprattutto dobbiamo tener conto degli scarsi investimenti operati sul settore. Il Belgio e la Danimarca destinano il 3,7% del Pil ai servizi per l’impiego, la Germania il 2,3%, mentre l’Italia appena 1,8%. In termini assoluti, mentre da noi si investe nei servizi circa 500 milioni l’anno, in Gran Bretagna, Germania e Francia si arriva a 5 miliardi di euro, secondo quanto ha spiegato il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa. E quanto agli addetti, in Gran Bretagna sono in un rapporto di 1 operatore ogni 24 disoccupati, in Germania 1 a 49, da noi addirittura 1 a 150.E infatti si assiste spesso al paradosso di centri per l’impiego in cui lavorano soprattutto precari, con contratti a termine o a progetto. E i fondi europei non possono essere spesi per assumere personale.Il problema esiste, figlio delle difficoltà di finanziamento, unite a al blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Quanto all’utilizzo dei fondi europei non è del tutto vero che non possano essere spesi per aumentare il personale. Non gli impiegati di struttura, ma professionisti quali orientatori o psicologi, che garantiscono un servizio all’utenza, possono certamente essere assunti utilizzando i fondi europei.Per far funzionare la Garanzia giovani, però, c’è la necessità di un’alleanza anche con le Agenzie per il lavoro private. Regolata come?L’alleanza, in particolare sull’incontro domanda e offerta, sarebbe certamente positiva. A patto di non assegnare al pubblico i casi più difficili e lasciare ai privati solo i giovani più facilmente collocabili. Per questo il sistema di incentivi dovrebbe premiare di più il collocamento dei casi maggiormente complessi.Ma le Regioni non hanno da fare autocritica, ad esempio rispetto ai ritardi sull’apprendistato?È una critica che sento ripetere spesso, ma che è sbagliata. La norma prevede espressamente che siano le parti sociali ad accordarsi per regolare la componente formativa dei contratti d’apprendistato, mentre le Regioni dovevano fissare dei limiti minimi. Se ci sono problemi a riguardo si deve cambiare la norma. La verità è che l’apprendistato soffre ancora della concorrenza "sleale" di decine di altre tipologie contrattuali, le Regioni non c’entrano.