Economia

Censis. Capitale umano, otto milioni di persone inutilizzate

venerdì 5 dicembre 2014
È di quasi otto milioni di individui il capitale umano inutilizzato che non si trasforma in energia lavorativa. A questa cifra si arriva se si guarda al numero di disoccupati, che nel 2013 sono più di tre milioni e si aggiungono i circa 1.780.000 cittadini in età lavorativa inattivi perché scoraggiati e gli oltre tre milioni di persone che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero disponibili a lavorare. È quanto stima il Censis nel suo 48esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese che sottolinea come i più penalizzati siano i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. Il potenziale femminile è anch'esso ampiamente mortificato, prosegue il Censis nella sua analisi. Le donne, infatti, costituiscono il 45,3% dei disoccupati, ma soprattutto il 65,8% degli inattivi scoraggiati e il 60,6% delle persone disponibili a lavorareSul fronte dell'occupazione, il Centro Studi Investimenti Sociali evidenzia un disequilibrato e antieconomico utilizzo dell'offerta di lavoro: il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184mila a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240mila lavoratori sottoutilizzati. C'è anche il capitale umano sotto inquadrato, cioè persone che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto: sono più di quattro milioni di lavoratori, il 19,5% degli occupati. Di questi il 53,3% è costituito da diplomati (2,3 milioni di lavoratori) e un ulteriore 41,3% da laureati.IL 41,8% DELLE AZIENDE SI È RIORGANIZZATOSu un campione rappresentativo di imprese con oltre 20 addetti, negli anni della crisi, ben il 41,8% ha rimesso mano all'organizzazione aziendale apportando significativi cambiamenti. Lo rivela il Censis nel suo 48esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese. La sostituzione di professionalità divenute ormai obsolete è stata effettuata dal 40,3% del totale delle imprese e ha rappresentato un passaggio ineludibile. Il 41,9% ha effettuato assunzioni inserendo nuove professionalità in azienda e il 26,9% si è attivato per riconvertire e riqualificare il personale esistente. Due le logiche che spingono le aziende a riorganizzarsi: da un lato quella di tipo difensivo, applicata soprattutto da chi vive una fase di ridimensionamento e per il quale la riorganizzazione rappresenta l'ultima occasione di sopravvivenza, dall'altro c'è invece un modello di riorganizzazione aziendale che segue una logica più spinta e aggressiva, tipica di chi vive una fase di crescita e di espansione. Nel primo caso, su 100 aziende che si sono riorganizzate - spiega il Censis - 36 si trovano in una situazione di grossa difficoltà. Le azioni messe in campo sono: tagli al personale (48,7%), riduzione di orari (45,7%), riqualificazione e riconversione delle figure professionali esistenti (30,9%). Nel secondo caso, invece, la logica più aggressiva - prosegue il rapporto - interessa circa l'8% delle aziende: il 75% ha assunto nuove professionalità e ben il 53,7% ha dovuto acquisire competenze del tutto nuove che prima non aveva. "Quale che sia il rapporto di causa effetto - si legge - in queste realtà l'occupazione cresce".