Economia

Inflazione. In Italia i redditi sono dell'8% più bassi di 15 anni fa

Pietro Saccò lunedì 7 febbraio 2022

Un uomo passa da un mercato italiano

C'è un motivo per cui la crescita dell’inflazione, una tendenza globale, fa più male in Italia che altrove: in pochi altri Paesi al mondo negli ultimi anni le famiglie hanno subito un calo del potere di acquisto simile al nostro. Tra il 2007 e il 2021, dicono le ultime rilevazioni dell’Ocse, il reddito reale pro capite delle famiglie italiane è diminuito dell’8%, pur registrando uno dei migliori aumenti (+1%) tra il secondo e il terzo trimestre dell’anno passato.


Solo altri due Paesi dell’area dell’Ocse, che riunisce trentotto nazioni dall’economia “sviluppata”, hanno registrato un calo dei redditi reali in questi quindici anni: la Grecia (-20,75%) e la Spagna (-6,1%). A dire il vero le famiglie spagnole erano quasi riuscite a recuperare quanto perso dall’inizio della grande crisi dei mutui subprime, prima che la pandemia le ributtasse indietro. Quelle italiane no: c’è stata una risalita del reddito reale rispetto al fondo del -14% toccato dieci anni fa, ma è stata molto lenta e i dati pre-Covid non sono molto diversi da quelli attuali.

In questo l’Italia è stata in controtendenza rispetto alle altre grandi economie europee e internazionali. Nel confronto con il 2007, in Francia i redditi reali sono superiori del 9%, in Germania del 13%, negli Stati Uniti del 25,4%. La media dell’Ocse è un +20,3%. Se altrove l’inflazione alta si mangia una parte dell’aumento dei redditi degli ultimi anni, in Italia, come in Grecia, i rincari infieriscono su una popolazione che già viveva un cronico impoverimento.

Grecia, Italia, Spagna e Lussemburgo sono gli unici Paesi dell’Ocse a
registrare un Pil pro capite ancora inferiore a quello del 2007

La ragione principale della stagnazione dei redditi in Italia e nel resto dell’Europa mediterranea sta nella più generale fiacchezza della nostra economia. L’altra tabella aggiornata ieri dall’Ocse, quella del Pil pro-capite, ricorda questa crescita quasi assente da due decenni. Grecia, Italia, Spagna e Lussemburgo sono gli unici Paesi dell’Ocse a registrare un Pil pro capite ancora inferiore a quello del 2007. L’Italia è ancora sotto del 5,8%, meglio solo della Grecia (-22%) e peggio di Spagna (-2,2%) e Granducato (-0,7%). Altrove invece il recupero è storia vecchia: in Francia il Pil è del 6% sopra i livelli pre-Lehman Brothers, in Germania segna un +13%, appena sopra il +12,5% medio Ocse. Se non si produce ricchezza, è la morale di questi numeri, è impossibile distribuirla tra la popolazione.

Sarà uno dei grandi problemi che l’Italia dovrà affrontare quest’anno. In tutta Europa sta salendo la pressione per un aumento dei redditi. In Germania, dove quest’anno il reddito minimo salirà due volte onorando la promessa fatta in campagna elettorale dal cancelliere Olaf Scholz, i lavoratori di diversi settori, dalle banche all’edilizia, protestano perché chiedono aumenti nell’ordine del 5-6%. Anche in Francia e nel Regno Unito i lavoratori protestano e chiedono aumenti superiori al tasso di inflazione. In Italia attualmente in pochi sindacati osano chiedere rialzi dei salari superiori al tasso di inflazione, che si è portato quasi al 5% lo scorso dicembre.

In media nel 2021 le retribuzioni in Italia sono aumentate dello 0,7%. Gli ultimi contratti nazionali rinnovati (tra i maggiori ci sono quelli della carta, delle farmacie private e del trasporto aereo) segnano aumenti medi tra gli 80 e i 100 euro al mese. Non sufficienti, in tutti questi casi, per risollevare il potere d’acquisto dei lavoratori. Ma i margini delle imprese non lasciano spazio a incrementi molto migliori di questi. Il comparto della carta, per esempio, è tra i più colpiti dal rincaro dell’energia: si moltiplicano i casi di cartiere che riducono o sospendono la produzione in attesa di ritrovare un equilibrio economico perduto.

L’Italia sembra essersi infilata un po’ alla volta in una trappola fatta di scarsa produttività che frena la crescita e non lascia spazio per aumentare i salari. Con salari deboli i consumi non si riprendono e quindi la crescita frena ancora di più. Uscire da questa spirale sfruttando le riforme e gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sembra davvero un’ultima opportunità per fermare questo declino.