Economia

Intervista a Natale Forlani. Caduta ammortizata

Francesco Riccardi mercoledì 4 marzo 2009
«La coperta è stata allargata e ora dovrebbe riuscire a coprire quasi tutte le persone che avevano un’occupazione e che potrebbero perderla». Parola di Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro, il braccio operativo del ministero del Welfare e a capo della «Unità per la tutela dell’occupazione» costituita lo scorso dicembre.La crisi si sta ampliando, le previsioni economiche continuano ad essere riviste al ribasso. Basterà quanto messo in campo finora dal governo sia in termini di risorse, sia di strumentazione per proteggere i lavoratori se perderanno il loro posto?Ritengo di sì. L’accordo raggiunto tra governo e Regioni a febbraio – fissando i termini della collaborazione in materia di ammortizzatori sociali in deroga, attivazione del Fondo per le aree sottoutilizzate ed esclusione dai vincoli del patto di stabilità degli investimenti connessi ai fondi comunitari – permette di avere a disposizione 8 miliardi di euro da utilizzare nel biennio 2009-2010. Ai quali si calcola possa essere aggiunto ancora 1 miliardo dei Fondi interprofessionali e degli enti bilaterali. Si tratta di soldi e strumentazione aggiuntiva rispetto a quella già disponibile, con la quale pensiamo di essere in grado di raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati: proteggere le persone garantendo loro almeno un reddito minimo e tentando di offrire strumenti di reimpiego o riqualificazione attraverso la formazione.C’è la sensazione, però, che siano moltissimi i disoccupati non garantiti da ammortizzatori sociali...Se parliamo di persone che avevano un lavoro e potrebbero perderlo non è così. La dotazione degli strumenti tradizionali – cassa integrazione ordinaria, straordinaria e mobilità, indennità di disoccupazione– può contare su fondi consistenti e il suo utilizzo non è ancora ai livelli massimi. Basti considerare che finora siamo a un terzo circa di utilizzo della cassa integrazione rispetto a quello registrato durante la recessione del biennio ’92-’93 nel quale si persero 800mila posti di lavoro. Comunque, gli strumenti tradizionali coprono circa la metà dei lavoratori dipendenti. Escludendo gli impiegati pubblici che non verranno licenziati, sono tradizionalmente "scoperti" circa il 40% dei dipendenti privati e i collaboratori di vario tipo. La massima parte di queste persone è impiegata in aziende del terziario medio-piccole o in imprese sotto i 15 dipendenti. E proprio su questo segmento andranno ad operare gli strumenti in deroga.Il criterio della deroga, però, è discrezionale. Inoltre anche i lavoratori coperti dagli ammortizzatori lamentano che spesso i sussidi vengono pagati con ritardi insostenibili per chi non può contare su altre entrate.Il criterio del coinvolgimento delle Regioni e degli Enti bilaterali permette di evitare una distribuzione a pioggia dei fondi e, prevedendo una compartecipazione finanziaria, serve a fare da filtro limitando la tentazione di qualche impresa di scaricare personale sul pubblico anche oltre le reali necessità. Quanto al pagamento è vero che si verificano problemi e la partecipazione di enti diversi è un nodo da sciogliere. Stiamo cercando perciò di stringere delle convenzioni per fare dell’Inps l’unico ente erogatore di tutti i sussidi.Provo a insistere. Prendiamo tre categorie a rischio: un lavoratore a termine, un interinale e un co.co.pro. Se i contratti non vengono loro rinnovati, su cosa possono contare?Il lavoratore a termine, se non era stato appena assunto, riceverà l’indennità di disoccupazione ordinaria oppure quella a requisiti ridotti. Per i lavoratori in somministrazione abbiamo verificato con le agenzie per il lavoro che il 35-40% di loro rientra nei requisiti per la disoccupazione. Per gli altri dovrebbero intervenire gli enti bilaterali e le stesse Regioni. Discorso analogo per i collaboratori. Per quelli che perdono il loro contratto è previsto l’assegno una tantum già approvato dal governo. Poi le Regioni possono integrare e prevedere forme di riqualificazione.C’è comunque una fetta di lavoratori a termine e di collaboratori che rischia di trovarsi senza aiuti. Non sarebbe meglio allora riformare subito il sistema prevedendo un sussidio unico ma per tutti?La riforma andrà fatta, ma a valle dell’intervento sulla crisi. Adesso non possiamo permettercela non solo per il costo, ma anche perché si bloccherebbe il sistema proprio mentre ce n’è più bisogno. E poi bisogna discuterne con chiarezza: la Cassa integrazione la cancelliamo? Il nostro sistema sembrava l’anomalia negativa d’Europa, ora tentano di copiarlo. Vorrei poi ricordare due cose. La prima: non è un caso che ben tre leggi delega sulla riforma dei sostegni al reddito siano state disattese negli ultimi 10 anni, non solo per mancanza di copertura economica, ma perché le riforme richiedono anche modifiche dell’esistente, sulle quali gli attori politici e sindacali finiscono per dissentire. La seconda: tutte le esperienze di sostegno al reddito erogate a prescindere dai contributi versati dagli interessati, sono degenerate in bacini di assistenza prolungati che non di rado – vedi il caso dei lavoratori socialmente utili – sono stati formati con criteri politici. Una lezione costata in 10 anni 14 miliardi di euro.A livello personale, lei è il portavoce del neonato "Forum delle persone e delle associazioni di aspirazione cattolica" che riunisce Cisl, Mcl, Cdo, Confcooperative. Perché questa iniziativa e come può agire il Forum in un momento di crisi come questo?Mobilitando e unendo le forze. Ancora più in questo scenario occorre che capitale e lavoro collaborino anziché confliggere. Non solo per tutelare gli interessi comuni, ma per creare un valore aggiunto di sistema che può fare la differenza. Più in generale, ispirandoci alla dottrina sociale della Chiesa vogliamo ridare centralità al valore della persona e del lavoro e alla ricaduta sociale di quest’ultimo nell’ambito familiare. Su questo tema svilupperemo un’iniziativa a fine marzo partendo da tre deficit che ci caratterizzano: abbiamo infatti il 10% in meno di occupazione femminile, il 10% in meno di Pil dedicato ai servizi alla persona e un 10% di spesa in meno a favore delle famiglie.