Economia

ISTAT. Il non profit cresce e «completa» lo Stato

Nicola Pini giovedì 11 luglio 2013
​Dimagrisce lo Stato, perde colpi l’industria, cresce il peso dei servizi e fa un balzo in avanti il non profit. È un Paese con meno travet e meno ciminiere l’Italia di oggi. Con un’economia sempre più terziaria e una presenza ormai massiccia del Terzo settore, che compensa sempre di più la ritirata strategica dei servizi pubblici. Ecco i dieci anni che hanno cambiato il volto del Paese, tra il 2001 e il 2011, secondo l’ultimo censimento dell’Istat. Sono gli anni che hanno coinciso prima con l’avvento dell’euro e la globalizzazione e poi con l’esplodere della crisi, da Lehman Brothers in poi, e la stretta sui bilanci statali. Una crisi che però non è ancora finita e le cui conseguenze non possono essere ancora tutte pesate da questa ricerca.La rilevazione statistica ha coinvolto quasi 600mila organizzazioni, informa l’Istat che ieri ha pubblicato i dati di questo 9° censimento delle attività economiche. Una fotografia aggiornata del sistema produttivo italiano. Alla fine del 2011 c’erano 4.425mila imprese, 12mila istituzioni pubbliche e oltre 300mila istituzioni del non profit. Realtà che nel complesso danno lavoro a poco meno di 20 milioni di addetti, dei quali quasi 16 milioni e mezzo sono impiegati nelle aziende profit (l’82% del totale), 2 milioni e 840mila nel settore pubblico (14%) e 680mila nelle realtà non profit (3,4%). Nel complesso in 10 anni l’azienda Italia ha acquisito circa 530mila lavoratori in più (+2,8%). Ma il dato è la somma di due tendenze diverse. Una crescita costante fino al 2008. Poi la crisi e una caduta che non si è ancora fermata. Dal confronto con i dati 2001, emerge che il settore più dinamico è stato proprio il non profit, che ha visto crescere del 28% le istituzioni attive e di quasi il 40% (39,3) gli addetti. Il numero delle imprese di mercato è cresciuto molto meno, l’8,4%, e ancora più basso è stato l’incremento dei loro addetti (+4,5). Netta diminuzione invece degli enti pubblici (-21,8%) e dei loro dipendenti (-11,5). In dieci anni gli impiegati degli enti statali sono diminuiti di ben 368mila unità.Il balzo del non profit è diffuso in quasi tutte le regioni, ma è più accentuato al centro e nel Nord-ovest del Paese. È un mondo che coinvolge soprattutto associazioni e cooperative sociali dove sono impegnati nel complesso poco meno di 6 milioni di persone: 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti diretti, 271mila lavoratori esterni e circa 5 mila lavoratori temporanei. A crescere sono stati in particolare gli addetti esterni (+170%) mentre è più contenuta la crescita del personale dipendente (+39%) e dei volontari (+43%). Ma il lavoro volontario rappresenta ancora la quota principale (83%) delle risorse umane del Terzo settore, mentre il lavoro dipendente diretto si ferma al 12%. Soprattutto due i settori di forte diffusione delle attività economiche senza fini di lucro: le iniziative culturali, sportive e ricreative e i servizi sociali. In questi campi il non profit è oggi di gran lunga la principale realtà produttiva, con 239 istituzioni ogni 100 imprese nel primo caso e 371 nel secondo. Cultura e sport contano 195mila enti, il 65% del totale, nell’assistenza sociale sono 25mila (l’8,3%). Il censimento registra come detto una netta riduzione dell’occupazione nel settore statale tanto a livello locale che centrale. E nel settore del welfare tanto più il pubblico arretra tanto più si allarga lo spazio per le imprese di mercato e per il non profit, con una sorta di "sostituzione" in termini di addetti. Rispetto al 2001 il settore pubblico dell’istruzione ha perso 130mila unità e quello della sanità e assistenza 65mila. Nel contempo il numero degli addetti negli stessi settori economici saliva rispettivamente di 78mila e 123mila unità nel non profit e di 13mila e 148mila nelle imprese profit.​